Mettendo da parte le mimose, l’8 marzo abbiamo assistito, nell’ambito della Stagione 2015 di Armunia, a Pasticceri. Io e mio fratello Roberto, di e con Roberto Abbiati e Leonardo Capuano.
Scenografia mozzafiato: scintillanti strumenti metallici e levigatissime superfici lignee, scaffali e − inspiegabilmente − due delle più note foto di Frank Zappa. Il palco si è tramutato in una pasticceria: i generi alimentari sono stipati sullo sfondo, e due lunghe tavole occupano buona parte della scena.
Sulle note di Sweet Home Alabama, i due attori fanno la loro comparsa, ancheggiando a tempo come in una coreografia stile “casalinga intenta a svolgere mansioni domestiche ascoltando la radio”. Tra turbini di farina e cannella, spumeggianti montagnole di albumi e rivoli di cioccolata modellati con la massima professionalità, si intesse la storia dei due fratelli pasticceri, antitetici ma accomunati da un’emotività fanciullesca, ingenua. Relegati o forse nascosti dietro il bancone del laboratorio, dove il tempo non scorre, ma rimane cristallizzato sulle ore 4.00, osservano la vita attraverso farina e zucchero, scherzando e litigando, nel tipico rapporto odio-amore fraterno, e teneramente l’uno prova di fronte all’altro una dichiarazione d’amore per una donna spiata da un vassoio di bignè.
Il primo (Capuano) è apparentemente sicuro di sé, responsabile, abilissimo con mestoli e fruste, anche se spesso la baldanza si incrina, lasciando trasparire un’indole incapace di contenere l’emotività, così da renderlo esitante e insicuro – l’apice drammaticamente comico è il momento in cui, pur essendo lui l’innamorato, chiede al fratello, dal maggior talento poetico, di fare la dichiarazione al posto suo.
Il secondo (Abbiati, ossia il sosia di Frank Zappa) è irrimediabilmente comico: baffi invidiabili, balbuzie, passo esitante. Cambia la luce e, in posa, sguardo fisso e voce sicura, si tramuta in uno splendido Cirano, dopodiché, terminata la declamazione poetica, torna in sé, balbettando parole sconnesse per giustificarsi.
Spettacolo a suo modo complesso, che gioca sulla contrapposizione caratteriale, sull’incapacità (descritta in modo squisitamente infantile) di scavalcare il balcone e affacciarsi alla vita, su citazioni musicali (che fanno da sfondo) e letterarie (Cirano di Bergerac – personaggio assai presente nella canzone italiana contemporanea, da Guccini a Caparezza), e, ancora, su un duplice amore (risulta evidente come entrambi aspirino alla medesima Rossana) funzionale per la stesura della descrizione caratteriale dei due e del loro rapporto. A rendere ancor più elaborata la performance, la sovrapposizione di due piani concettuali, permessa dall’utilizzo spudorato e perciò a suo modo geniale degli interventi meta-teatrali. Risulta infatti estremamente complesso discernere quanto vi sia di spontaneo e quanto di studiato, ma, con un sottile godimento arlecchinesco, roviniamo l’utopia: vi siete illusi credendo che la performance cui avete assistito fosse speciale rispetto alle altre, grazie all’abilità improvvisativa dei due interpreti, poiché ogni battuta è scritta e ben studiata.
Non esasperiamo, però, aspetti che così esposti paiono concettosi: lo spettacolo è condito di un’ironia tanto forte e comprensibile che i (numerosissimi) bambini, con sguardi ingenui ma impietosi, non hanno potuto non apprezzare, ridendo e smaniando di fronte a tanti dolciumi (realmente preparati in scena e puntualmente offerti al pubblico a fine recita).