Quando due personalità che condividono pensiero e filosofia di vita si incontrano, sia pure distanti nel tempo e nello spazio, il risultato sono scintille nell’aria.
È ciò che è avvenuto grazie alla lingua tagliente di Moni Ovadia, che ha fatto da filtro agli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini.
L’attore ha sicuramente portato in scena uno spettacolo “scomodo” e lo ha fatto, come sostenuto nel prologo antecedente al reading-spettacolo e ricalcante le note di regia, «dando voce alla mente luciferina di quel lucido analista che (…) riassunse in modo dirompente la situazione sociopolitica nazionale di quel periodo: la mutazione e omologazione degli italiani e del mondo; la difficoltà dell’incontro con l’altro e il problema del razzismo; la grandezza della cultura contadina dell’Italia passata e la straordinaria varietà di tradizioni orali, vero humus della nostra identità collettiva; lo stragismo e il referendum sul divorzio».
Lettura scenicamente spoglia: tre sedie sul proscenio di cui una per Ovadia e le altre per il violinista Maurizio Dehò e il fisarmonicista Nadio Marenco, cui è delegato il calibrato sottofondo musicale. L’essenzialità scenografica si rovescia in brutale energia sotto il profilo intellettuale per una scossa elettrica alla coscienza: in questo gioco al risveglio civico-sociale dello spettatore, Ovadia è abile nell’utilizzare, come contrappeso a tematiche così “impegnate”, un repertorio musicale struggente, avvolgente, passionale come quello dei tanghi di diversa provenienza geografica (mirabile l’esecuzione dei due musicisti, talvolta eccepibile quella vocale dell’attore). La scelta del tango, afferma l’artista, è legata alla sua origine di ballo proibito e illegale, storicamente danzato da soli uomini, che, per atmosfere evocate e natura anticonformista, bene si addice a far da commento sonoro alle parole di un vero e proprio rivoluzionario. Le luci, seguendo i movimenti dell’attore, creano giochi chiaroscurali nello spazio, ombre e riflessi sul volto e sul borsalino appeso alla spalla; si ha come l’impressione che siano Cristo o Che Guevara a pronunciare le parole di Pasolini.
Che fare? Non resta che ascoltare, ascoltare e ascoltare ancora, proprio come durante un comizio, perché forse quella che ci viene servita è, più che una messinscena vera e propria, un’efficace orazione che non deve far sognare, ma rispedirci a casa a riflettere attentamente sull’intero genere umano e sulla sua inesorabile deriva.