Esagerato, irriverente, liberatorio, lo spettacolo di Filippo Timi delle favole dei bambini ruba la struttura sconnessa, aperta a coups de théâtre meravigliosamente “di plastica” e a travestimenti empaticamente credibilissimi. Empatia: che ridicola parola! Eppure Favola e Timi, nei bustini stretti di Mrs Fairytale, ci permettono, per una volta, di utilizzarla.
Conquistatosi in più di quattro anni di tournée un successo unanime di pubblico (non così per la critica), Favola riesce a creare condivisione di emozioni tra il palcoscenico e la platea. Si ride moltissimo, e il primo a ridere è l’attore umbro, regista e autore di una pièce che si mostra per quella che è: un’operazione che se ne frega di inserirsi in una categoria, di riferirsi a una tendenza, di vincere un Oscar. Cos’è Favola? Commedia, dramma, cabaret, teatronovela? Tutto, ma nulla nello specifico: e ciò è estremamente liberatorio. L’immaginario dentro cui ci si muove oscilla tra il ricordo familiare e il pop di massa (nello spettacolo trovano spazio proiezioni di cartoni animati e spot della tv degli esordi).
In una scena fissa e dettagliatissima, in cui dominano i colori accesi e plastificati del design anni Cinquanta, una casalinga, Timi con parrucca rossa, abitino vaporoso stretto in vita da un bustino e tacchi alti, appresta l’ambiente in vista delle imminenti feste natalizie. Sul fondo uno squarcio ellittico della parete frontale divide lo spazio in profondità: verso il proscenio troviamo l’accogliente salotto, in fondo l’ingresso con portone di casa sulla sinistra e scale a destra.
Dal portone fanno il loro rumoroso ingresso Mrs Emerald (Lucia Mascino), biondissima e repressa amica del cuore della protagonista, e Luca Pignagnoli, belloccio triplicato nei gemelli vicini di casa (un imbranato, un insegnate di ballo, un idraulico) che incarnano gli stereotipi maschili di giovanissimi simboli delle trasgressioni sessuali di quelle donne di mezz’età “ben tenute” oggi definite MILF. Quarto personaggio: un barboncino impagliato di nome Lady.
Timi interpreta la parte di una donna senza sfiorare la questione dei generi: non si fa riferimento all’omosessualità, al contrario, tema centrale delle riflessioni dell’autore è la condizione femminile, ieri come oggi. Timi è donna: se nel pubblico il travestimento è fonte di ilarità, in scena, a ben vedere, Timi è una donna sessualmente desiderata da tutti. La sua interpretazione non è ineccepibile, ma è stilisticamente coerente al pastiche che struttura l’intera operazione. Dunque, l’attore si può inceppare, può scappargli da ridere, può dare prova di un rigoroso lavoro sul corpo e sul suono (in certi momenti il suono regola il movimento e viceversa), può affidarsi a meccanismi comici dal risultato assicurato (la zeta diventa aspra in tutte le parole che la contengono), può improvvisare. Può fregarsene di tutto perché Favola, tra i suoi spettacoli, è il regalo che si è concesso.
Il “movimento” è questo: in una situazione familiare apparentemente tranquilla iniziano a emergere indizi di frustrazione e infelicità, i nodi vengono al pettine (e che nodi! Abusi, pedofilia, tradimenti e violenze, un’improbabile gravidanza) e le due amiche si trovano costrette a reagire. Le risate abbondanti hanno, pare, la funzione di esorcizzare il dolore esistenziale che subentra nella fase della vita in cui si capisce che i maledettissimi i sogni e le dannate favole che ci siamo raccontati da bambine erano solo fregature.
«C’era una volta una bambina e dico c’era perché ora non c’è più». L’imbroglio è stato credere in questa Favola di cui non sveliamo il finale!