Di sera, riuniti a un tavolo per una cena o altra occasione conviviale, capita di lasciare la briglia sciolta ai pensieri, ai progetti. Nel caos di parole in libertà, certe idee più guizzanti o spiritose riescono a conquistare l’ilarità dei presenti. Qualcuno si spinge ad affermare, con foga perfino: «Buona questa! Sarebbe bello scriverci un racconto». Oppure un film. Oppure uno spettacolo teatrale. Quasi nessuno di questi svolazzi serali giungerà poi alla forma vagheggiata dal commensale di turno. Meno male, diciamo, perché nella maggior parte dei casi l’entusiasmo derivava dalla piacevole compagnia o dall’ebbrezza del momento, non già dalla bontà del progetto. Tuttavia, come cantava qualcuno, uno su mille ce la fa.
Mi piace credere che sia nato così questo Amleto ideato dalla ferrarese Francesca Pennini per CollettivO CineticO. Della tragedia shakespeariana resta solo il titolo, emblema di un monolito drammaturgico visto e rivisto decine di volte. Qui si mostra unicamente un fittizio concorso che vede in lizza quattro candidati – è questa l’ideuzza di partenza – a contendersi il ruolo del principe di Danimarca in una futura produzione. Trascinati sul palco con la testa infilata in un sacchetto di carta, i quattro aspiranti si sottopongono a tre prove, una più improbabile dell’altra, che dovranno infine decretare il vincitore attraverso successive eliminazioni, come nel migliore (o peggiore) talent show con tanto di applausometro.
La competizione è spassosa, e infatti si ride (non è poco!). Fin dall’inizio, da quando la voce fuori campo della regista-coreografa enuncia con neutra scrupolosità l’attrezzatura del teatro e le regole del gioco. Poi si passa alla presentazione dei candidati, tutti dilettanti allo sbaraglio con poca, pochissima esperienza teatrale e altrettanta presenza scenica. Tre atletici valletti-danzatori agganciati a una corda elastica hanno il loro daffare per guidare gli impacciati e obnubilati “attori di una notte”. E si arriva alle prove, a metà tra test psicoattitudinale e audizione accademica: una prova “free style”, una di memoria, una di interpretazione (nientemeno che sui versi virgiliani pronunciati da Amleto nel secondo atto, volendo saggiare la bravura degli attori giunti a Elsinore: hai detto cotica!): le risate – che in casi come questo hanno sempre qualcosa di derisorio – sgorgano inevitabilmente.
E così, da un’idea nata forse durante una piacevole serata in compagnia scaturisce un’altra piacevole serata, per un pubblico allargato. Niente di più, niente di meno.
Post Scriptum
Ha senso uno spettacolo come questo Amleto in una rassegna dedicata alla danza contemporanea (Rigenerazioni eccentriche, con eventi fino al 30 maggio)? Sì e no.
Sì, dacché l’appartamento di Tersicore non è mai stato tanto accogliente come in questi anni.
No, perché la poesia dei corpi in movimento è altra cosa.