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La voce di Armine, sister contro un silenzio durato cento anni

Sguardazzo/recensione di "Armine, Sister"

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Cosa: Armine, Sister
Chi: Jarosław Fret
Dove: Firenze, Stazione Leopolda
Quando: 09/05/2015
Per quanto: 90 minuti

Non chiedono applausi gli interpreti del Teatr Zar. Il pubblico viene lasciato nella desolazione di un paesaggio scenico distrutto, dove solo confuse tracce restano di quello che è stato, e un corpo inerte di donna giace tra le macerie. La compagnia polacca, dopo anni di studio (ebbene sì: per fortuna esistono paesi in cui il teatro può permettersi di investire in progetti di ricerca a lungo termine), decide di dar voce e corpo alle vittime armene del genocidio del 1915 attraverso il progetto Armine, sister, di cui lo spettacolo omonimo rappresenta il punto centrale. Oltre al lavoro performativo, un album musicale, mostre fotografiche, installazioni, concerti e conferenze, a  interrogare il mondo contemporaneo sui temi del negazionismo e del dovere morale della testimonianza. Questioni che è lo stesso Jarosław Fret, regista della compagnia, a introdurre al pubblico nel lungo e accorato discorso che precede l’inizio della performance.

Questa, cui partecipano anche i maestri cantori iraniani, armeni e turchi che il gruppo ha incontrato lungo il suo percorso di ricerca, si svolge in uno spazio rettangolare, ritagliato mediante panneggi scuri all’interno del grande atrio della Stazione Leopolda. Il pubblico si accomoda su panche lignee che corrono lungo i due lati maggiori della stanza così ricavata, all’interno della quale sedici grosse colonne troneggiano maestose, ad evocare l’interno di una chiesa scoperchiata. I sedici performer/musicisti invadono progressivamente l’ambiente impregnandolo di corpo e voce, terra e carne, materialità e sofferenza, creando situazioni di forte impatto emotivo di fronte alle quali lo spettatore sembra esser chiamato ad assistere più che a guardare.

arminesister4È impossibile vedere ogni cosa, poiché nello spazio così frammentato le colonne ostacolano lo sguardo e le azioni abdicano alla narrazione lineare in favore di un sistema di «poesie fisiche», così nella definizione di Fret, che avvengono simultaneamente. I brani vocali intonati dagli interpreti, canti liturgici della particolare tradizione monodica armena, sono talvolta accompagnati da un bordone d’organo o da isolati rimbombi di tamburi, e infondono dignità rituale alla scena; su di essi si inserisce l’articolato tessuto sonoro generato dalle azioni: bastoni che percuotono il pavimento, vesti strappate e gettate brutalmente sui corpi, un letto di ferro che cigola mentre viene trascinato da un lato all’altro, urla d’intesa tra i carnefici, donne che ripetutamente si martirizzano o subiscono la violenza altrui, tavoli e porte rovesciate con un tonfo dal peso degli interpreti.

arminesister1bisLa scenografia è in continua evoluzione: le colonne sono calate a terra, trasportate a braccio, issate nuovamente; poi, battute e scardinate, riversano sul pavimento fiumi di sabbia; infine, smembrate in pezzi più piccoli, si ergono nello spazio, sempre più desolato, come nude lapidi nel deserto, in un’immagine terribile ed efficacissima a ricordo delle migliaia di vittime delle deportazioni nelle aride zone dell’entroterra siriano.

Non spettacolo, ma vera e propria «azione/testimonianza», evento in fieri che invita lo spettatore non a compiere un atto voyeuristico, ma a farsi in prima persona responsabile del risveglio di una memoria collettiva ancora oggi largamente sopita. Un atto di impegno civile restituito con devozione e con raffinata arte scenica, a conferma della peculiare capacità di comunicare attraverso le immagini che è tratto distintivo della migliore tradizione teatrale dell’Europa orientale. E di Teatr Zar con essa.

 

 

 

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una pianta sarebbe... una Anastatica Hierochuntica, comunemente nota come Rosa di Jericho

Locandina dello spettacolo



Titolo: Armine, Sister

drammaturgia musicale, installazione, direzione: Jarosław Fret
performer/musicisti: Davit Baroyan, Ditte Berkeley, Przemysław Błaszczak, Alessandro Curti, Jarosław Fret, Murat Içlinalça, Dengbej Kazo, Aram Kerovpyan, Vahan Kerovpyan, Kamila Klamut, Aleksandra Kotecka, Simona Sala, Orest Sharak, Mahsa Vahdat, Marjan Vahdat, Tomasz Wierzbowski
laboratorio permanente di canto modale diretto da: Aram Kerovpyan
collaborazione vocale: Virginia Pattie Kerovpyan
scenografia realizzata da un team diretto da: Piotr Jacyk: Maciej Mądry, Krzysztof Nawój, Paweł Nowak, Bartosz Radziszewski, Andrzej Walada
luci: Maciej Mądry
coordinamento del progetto: Magdalena Mądra
con il supporto del Ministero della Cultura e del Patrimonio Nazionale della Repubblica Polacca


Armine, Sister è uno spettacolo dedicato alla storia, alla cultura del popolo armeno e al dramma del suo genocidio. Fin dal principio Armine, Sister è stata pensata come un’evocazione con cui non siamo noi a rivolgerci ai morti, ma con cui a chiamare sono gli spiriti dei defunti che anelano a rivelare le tracce del loro passato, a renderlo visibile, a dissotterrarlo. Armine, Sister sono anche le prime due parole di una lettera con un indirizzo illeggibile, condannata a vagare nel tempo e nello spazio, senza mai arrivare a destinazione. Piuttosto che focalizzarsi sulla storia degli eventi del 1915 o sulla storia del negazionismo, Teatr Zar ha preferito concentrarsi sulla storia dell’ignoranza che nell’Europa contemporanea alimenta e conduce alla non-azione. D’altro canto, la storia dell’ignoranza include anche la storia della costruzione di un “silenzio concordato” che riguarda qualunque atto di violenza. Gli eventi in Anatolia all’inizio del XX secolo dovrebbero portare verso un dibattito più ampio sul “testimoniare dopo la testimonianza”, un tema che diventa una lezione sull’identità. Armine, Sister affronta il processo del farsi carico della memoria e di quanto doloroso questo possa essere. Vuole anche dare un nome/un’identità al “dove” ci troviamo in relazione con le generazioni passate, per cercare di comprendere chi siamo – noi, che stiamo sempre dall’altro lato della memoria come si sta dall’altro lato di una macchina fotografica. Noi che guardiamo la storia attraverso uno spioncino, vedendo solamente orme, ombre, pensieri. Armine, Sister segna un cambiamento radicale nel lavoro del Teatr Zar. Costituitosi dall’esperienza di dieci anni di lavoro sul canto polifonico (Teatr Zar è l’unico ensemble al mondo, soprattutto per quanto riguarda la difficoltà della tecnica vocale richiesta, che può esibirsi nelle canzoni funerarie della Svanezia/Georgia così come nei canti sardi tradizionali), il gruppo ha ora deciso di lavorare sulla tradizione monodica dell’Anatolia. Il nuovo training vocale e le sue tecniche hanno richiesto un processo di due anni di studio e di “incorporazione” dei canti. I nuovi materiali vocali sono stati ricomposti, armonizzati e orchestrati con l’obiettivo di creare un dramma musicale contemporaneo. La sensibilità poetica del Teatr Zar è stata ampliata proprio attraverso l’esplorazione del suo potenziale narrativo. È stato costituito un nuovo gruppo internazionale di performer, tra cui alcuni maestri cantori dell’Iran, Armenia, Anatolia e Istanbul. Il gruppo mantiene al centro del proprio lavoro le tradizioni liturgiche armene – da quelle monodiche della Chiesa della SS. Trinità in Istanbul, alle composizioni di Marak Ekmalian, alle collezioni di Komitas intessute con le tradizioni più orientali della Persia e del Kurdistan.

Anna Solinas
Sulla soglia dei 30, si interessa di teatro e danza contemporanea, che frequenta da interprete oltre che da spettatrice. Pecca d'ingenuità, nutrendo un'ingiustificabile fiducia nel genere umano: per porvi rimedio, ha iniziato a cimentarsi nella critica. Prendendoci gusto.