Uno spettacolo delicato, prezioso, sottile e leggero come un sussurro questo Corrispondenze che chiude la seconda giornata di spettacoli per I Teatri del Sacro. La scena è nuda, contraddistinta dal nero dei fondali, occupata parzialmente da tre sedie e due figure femminili. Sorelle, tanto vicine quanto lontane: l’una (Claire-Lise Daucher) è assorbita da una vita intensa fatta di viaggi aerei, impegni professionali, uomini senza volto a intiepidirne le notti; l’altra (Anne Palomeres) s’è data a una vita non meno intensa, quella della vocazione monacale, il suo quotidiano stupore, la concentrazione sulle occupazioni di una quotidianità monastica.
Storie parallele, in apparenza, come i binari d’una comunicazione epistolare che si fa monologo alternato: una parla (ossia scrive), l’altra risponde (scrivendo a sua volta), in un fluido dialogo a differimento temporale. Se le voci mai si fondono, lo fanno, però, i corpi, morbidi e flessuosi abitanti d’uno spazio riempito dalla loro quieta presenza. La partitura gestuale è delicata e potente, specie nelle sequenze in cui prevale la presenza di Palomeres, novizia in attesa. I gesti sono spesso echeggiati, doppiati ed eseguiti assieme, nello sfioramento dei corpi che prelude una vicinanza spirituale in grado di travalicare quella fisica. Non è virtuosismo coreutico, ma efficace opzione di esemplificazione emotiva a tratti struggente, mai meramente esteriore.
Con parole e gesti, si raccontano, ognuna dal proprio punto d’osservazione sul mondo, ognuna recando in dote le proprie novità, siano esse il termine del noviziato o un’inattesa gravidanza accettata con grazia. Si allude a un dolore comune, una sorella scomparsa prematuramente, ulteriore occasione di saldatura affettiva. E, nel confronto tra le due donne, non è affatto sicuro che la “reclusa” sia tale, o abbia meno da raccontare rispetto a colei che ha scelto di “succhiare” il mondo affastellando un’esperienza dietro l’altra. Strana parola, esperienza: forse la scelta consapevole di un ritiro dalla mondanità può non dirsi tale? Convinzione puerile, brillantemente risolta da una drammaturgia ben calibrata (a cura di Manuela Correros e Robert Aldorasi, su testo di Francesco Niccolini), cui si applicano una regia e un piano coreutico di fusionale dolcezza.
Quaranta minuti circa, tutti ben impiegati, densi, puri, per un autentico respiro al termine di una giornata di festival altrimenti non del tutto convincente.