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Gabbathà, quiz televisivo o riflessione sulla sacralità?

Sguardazzo/recensione di "Gabbathà"

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Cosa: Gabbathà
Chi: Fabrice Hadjadj, Giampaolo Gotti, Sylvia Bagli, Benoît Felix-Lombard, Sara Rainis
Dove: Lucca, Teatro San Girolamo
Quando: 09/06/2015
Per quanto: 90 minuti

Secondo giorno del festival, anche oggi il primo spettacolo si svolge nel Teatro San Girolamo: Gabbathà, dispositivo per attori-spettatori e spettatori-attori, di Giampaolo Gotti e Fabrice Hadjadj.

Una figura dall’argentea chioma ci accoglie in su la soglia, ostentando la garbatezza che abbiamo avuto modo di sperimentare in questi due giorni, sì come due anni fa (lo scorrere del tempo non sempre ingentilisce, anzi). Si preoccupa di indicarci con dovizia di dettagli i molteplici obblighi di spettatore: la formula dei quali è però efficacemente ridotta, tramite l’omissione del “si pregano i gentili spettatori di”.

Varchiamo lentamente l’entrata, per immergersi nello spettacolo: ci accolgono artisti con svolazzanti vesti candide e nasi rossi, che porgono a ogni spettatore una carta da gioco. Non ci dilunghiamo a spiegare cosa sia gabbathà, basti sapere che vuole rappresentare un anello di congiunzione tra l’aleatorietà dei giochi da tavolo e la vicenda di Gesù.

L’opera che i quattro attori-maschere propongono fa uso di diapositive (proiettate su un rosone in tela), musica, azione scenica e interazione continua con il pubblico. Pur avendo una struttura apparentemente definita, si gioca sulla casualità delle scelte della platea, in una rappresentazione fluida e dinamica, che si plasma poco alla volta. Riecheggia, in questo senso, la definizione di aleatorietà che il fisico Eppler-Meyer utilizzò per definire le composizioni di Cage: un processo è aleatorio se definito nelle sue linee generali, ma casuale nel suo svolgimento. Il gioco sta nel presentare l’intera opera come una sorta di ruota della fortuna in cui numeri e pubblico definiscano gli episodi che attori narreranno.

Ad azionare la ruota, a sostituire, forse, il dio amorevole dei Vangeli, vi è Giuda Iscariota (Giampaolo Gotti), il traditore, figura piena di fascino, perché contrapposto, eppure mai veramente antitetico, a Gesù, nonché rappresentativo di svariati temi: l’amore, il peccato, il pentimento, l’incapacità di perdonarsi, la morte auto-inflitta. L’impostazione dell’opera è, insomma, interessante: i quadri hanno un loro equilibrio interno, gli attori hanno un loro modulo espressivo, la scelta delle musiche è coerente, il filo conduttore sembra reggere. Giuda, nelle vesti di inusuale conduttore, diviene presto insistente e ripetitivo, e ovviamente, una volta abituati al gioco, il tedio fa capolino.

Grazie al coinvolgimento diretto, il pubblico è tuttavia divertito. Il tema biblico rimane superficiale, accostato a una retorica figlia di quella televisiva, che produce un goffo incrocio tra circo e villaggio vacanze. Il sacro viene recuperato solo in ultima battuta, con una frase evangelica regalata alla platea, stridendo con l’impostazione dissacrante dell’intera rappresentazione.

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... Un libro sarebbe... dalla trama avvincente, ma privo di cura formale

Locandina dello spettacolo



Titolo: Gabbathà

con Sylvia Bagli, Benoît Felix-Lombard, Giampaolo Gotti, Sara Rainis
regia Giampaolo Gotti
testo di Fabrice Hadjadj
scenografia, foto, video Philippe Ferrant
training, coach Alexandre Louschik
Immagini tratte dal polittico Passione-Resurrezione di Arcabas con l’amabile autorizzazione degli autori


Immaginiamo un po’: siamo a teatro e danno “Edipo Re”. Improvvisamente, la peste che fa strage a Tebe si mette a decimare la gente in sala; man mano che il male avanza si scopre che il responsabile non è il personaggio, non l’attore, né il regista, né il tecnico… ma lo spettatore! E’ questa situazione unica, in cui lo spettatore è sempre attore, al centro di Gabbathà. “Gabbathà” indica, secondo il Vangelo di Giovanni, il lastricato dove Pilato giudicava: una spianata avente ad un’estremità il tribunale del procuratore, dall’altra l’orchestra del popolo e, al centro, la Parola insanguinata, come un errore scarabocchiato con la penna rossa dei colpi di frusta. E’ qui che si svolge l’ultima scena del processo, è qui che Pilato chiede per l’ultima volta: “Metterò in croce il vostro re?” Dopo questo non segue che il concatenamento inesorabile della Via Crucis. Gli scavi archeologici hanno riesumato le vestigia di questo lastricato e rivelato che su queste lastre erano incise caselle simili a quelle del gioco dell’Oca. Gesu’, il Verbo incarnato, si offriva cosi’ fino a non essere altro che una pedina su un tabellone da gioco. Il tema è quindi quello della Passione, e la disposizione dei quadri richiama il gioco dell’Oca srotolato in orizzontale. Il testo di Fabrice Hadjadj è messo in gioco in due modi: anzitutto dagli attori-spettatori: essi daranno vita ai dialoghi, e in questo saranno attori, ma lo faranno secondo i quadri del polittico, e in questo troveranno il loro ruolo di spettatori. Parallelamente ha luogo la messa in gioco degli spettatori-attori: essi assisteranno allo svolgersi dei dialoghi, in questo saranno spettatori, ma giocheranno sia facendo spostare gli attori da una casella all’altra secondo la casualità dei giochi, sia realizzando le azioni previste da queste caselle, e in questo ricopriranno il loro ruolo di attori.

Sara Casini
Sedicente studentessa universitaria, apparentemente giovane: nella realtà ha almeno il doppio degli anni e il triplo della malvagità dimostrate dagli occhioni azzurri e il sorriso inoffensivo.