Real Collegio, terzo giorno di festival: ci accoglie un ampio spazio aperto, le sedie disposte sotto gli archi del porticato, ci apprestiamo così ad assistere a Canzoni fra l’anima e lo sposo, prodotto del Laboratorio degli Archetipi.
Premettiamo che si tratta di uno spettacolo amatoriale: stiamo forse cercando di giustificarne, almeno in parte, eventuali imperfezioni? Probabile.
La rappresentazione è lineare, coerente, e fin dall’inizio denuncia i mezzi utilizzati: quattro attori, mediante l’impiego di vari oggetti, rappresentano le ambientazioni (un’abitazione, un bosco, una sala da pranzo, una camera da letto), due giovanissimi danzatori sono i protagonisti (una giovane coppia di amanti), un violinista crea l’atmosfera nella quale si svolge la narrazione e, infine, due voci recitanti descrivono le varie scene che si susseguono nell’aeroso chiostro.
La storia narrata è quella della ricerca dell’amante, la formazione della coppia, nella rappresentazione, insomma, di un’esperienza d’amore fin dal suo primo nascere. L‘ispirazione viene dal poeta e teologo Juan de La Cruz, del quale si ripropongono le atmosfere sospese.
Delicatezza e sospensione, che si svolgono con lentezza sacrale. Nessuna incongruenza, insomma, e forse nessun problema puramente formale, in questa rappresentazione, di cui non si percepisce, però, chiaramente l’urgenza. La compassata cadenza corre il rischio di tediare lo spettatore, e l’esperienza vissuta nella mezz’ora trascorsa non ci è parsa particolarmente intensa, così come, immaginiamo, sarebbe stato nell’intenzione dei volenterosissimi artefici; abbiamo tuttavia apprezzato molto la scelta della musica (melodie sinuose, d’impronta popolare, talvolta di matrice celtica), che si lega perfettamente alla delicatezza dell’azione scenica.
Un’opera leggera, breve, la cui rarefatta morbidezza rende complicato esprimersi con un giudizio netto, ma che può, comunque, costituire un piccolo, e onesto, contributo in una rassegna dedicata al sacro.