Sul palcoscenico, due figure in piedi su piedistalli bianchi accerchiati da uno sfondo totalmente nero, prendono vita personificando una statua commemorativa del primo omicidio della storia dell’umanità: quello di Abele da parte del fratello Caino. Tutti noi conosciamo il movente dell’antichissimo fratricidio: l’invidia di Caino nei confronti dell’altro, dovuta alla scelta di Dio che ha preferito le offerte del secondogenito alle sue. Sulla scena, tuttavia, il fratello maggiore esprime ad Abele le proprie perplessità riguardo al terribile gesto, ponendogli svariate domande sul perché sia necessario uccidere, per poter dare vita alla storia dell’umanità. Con un’ingenuità quasi estrema, Caino propone al fratello una serie di soluzioni al fine di evitare il fratricidio, ma Abele, irremovibile e completamente calato nel suo responsabile ruolo, non si lascia convincere e tenta (con sforzi e insofferenza) di spiegargli che da quell’omicidio non ci sono vie di scampo.
Durante la rappresentazione, emergono le posizioni dei personaggi nei confronti dell’omicidio. Abele, sostiene che questo sia necessario affinché l’umanità possa formarsi seguendo gli ideali della competitività e il sistema della sopraffazione legato al superamento fisico e psicologico del prossimo. Caino, dalla sua, sostiene che offrire all’uomo un esempio, un archetipo, caratterizzato esclusivamente dalla violenza, non possa giovare all’uomo del futuro che si sentirebbe di conseguenza autorizzato a uccidere chiunque incontri.
Chi ha deciso che Caino sia il killer e Abele la vittima innocente? Forse Dio, forse Caino, forse Abele. O forse l’uomo, che sembra investire tutta la propria vita nel giustificare i mali del mondo per salvarsi la pelle, ha deciso chi fosse il colpevole e chi la vittima… Ma se le cose fossero andate diversamente? Chi sarebbe stato il capro espiatorio?
I continui tentativi persuasivi di Abele nei confronti di Caino e l’innocente genuinità di quest’ultimo, così come le brutture della società moderna, sono rappresentati attraverso numerosi e comici sketch che fungono da intermezzi fra i dialoghi dei due personaggi. Ognuno di questi, infatti, rende evidente tramite riso e comicità, episodi e caratteri spiacevoli di una società della quale Caino non vuole essere né complice né fondatore.
I due interpreti, Andrea Bochicchio (Abele) e Giovanni Longhin (Caino), affiatati e dall’aspetto ironicamente accattivante, hanno saputo trasmettere quelle che sono le intenzioni comunicative della regista (impegnata nella trasmissione del messaggio del mito) rendendo lo stesso con spirito e sorrisi, utilizzando pochi ed essenziali oggetti di scena che sapessero accompagnare bene le gag.
Ma ritorniamo all’origine: se Caino non avesse ucciso Abele, che società sarebbe la nostra?
Giorgia Giulio