Un’opera che prende vita già nel corridoio che porta all’interno del Teatro San Girolamo, e mi raccomando: «procedere lentamente», ché altrimenti la signora all’ingresso si arrabbia. I quattro attori (Sylvia Bagli, Benoît Felix-Lombard, Giampaolo Gotti e Sara Rainis), bianchi pagliacci dal naso rosso, in silenzio, consegnano a ciascun spettatore una carta da gioco: picche, quadri, cuori, fiori.
Lo spettacolo che apre la seconda giornata dei Teatri del Sacro è Gabbathà, termine che indica, nel Vangelo di Giovanni, il lastricato davanti al tribunale dove Pilato celebrava i processi. Mentre il pubblico prende posto, un proiettore fa scorrere su un telo una serie di immagini e dipinti di argomento sacro mentre due voci femminili fuori campo discutono sull’iconografia della crocifissione. Entrano gli attori, Gotti si presenta: ecco Giuda, tempestiva la precisazione degli altri tre «il traditore». Oggi è lui il protagonista, il cattivo, l’espressione dialettica di Gesù, il personaggio irrinunciabile senza il quale la storia evangelica rischierebbe di non compiersi. Protagonista e architetto, sarà sempre lui il “conduttore” dello spettacolo, a gestire le identità degli altri personaggi, la scansione dei momenti narrativi e di quelli ludici.
L’impressione generale è quella di un teatro o di un circo itinerante: il cartello con la scritta “Applausi”, le maschere, i modi da imbonitore, il coinvolgimento del pubblico e i leggerissimi, bianchi paracaduti di diverse grandezze che, di volta in volta, indossati o mossi dagli attori, creano personaggi diversi o suggestive atmosfere. La recitazione, ben accompagnata dalla collaborazione tra sonoro e video, coinvolge e, soprattutto nel finale, incanta, sempre mantenendo un velo di ironia e sarcasmo.
Un’opera composita che, sotto la guida di Giuda, si articola in diverse sezioni narrative introdotte da giochi in cui è fortemente risucchiato il pubblico. Le carte consegnate all’ingresso, infatti, sono utilizzate per il gioco della ruota e i possessori dei numeri via via estratte sono invitati da Giuda, con fare da quiz tv, a leggere frasi che introducono la fase successiva. Questo in particolare può essere considerato il centro del lavoro dietro l’allestimento: come spiegano le note di regia, «In questo sito [il luogo della flagellazione]riesumato dagli scavi archeologici, sono state rinvenute alcune lastre con l’incisione di un gioco in uso presso le guarnigioni romane: il gioco del Re, simile al nostro gioco dell’Oca». Altra soluzione giocosa proposta è quella di far passare dei palloni da spiaggia tra il pubblico, fino a formare due squadre che poi, sul palco, interagiranno con gli attori.
Idee originali, forse azzardate e che, nella gestione complessiva ricordano le serate di delirio organizzato di Paolo Rossi o uno spettacolo del gruppo Gli Omini che, due stagioni fa, inscenava una partita del Mercante in Fiera con carte ispirate ai santi. Idee e proposte che hanno coinvolto e divertito il pubblico, ma anche rasentato il ridicolo, scivolando talvolta nella trappola del gioco da villaggio vacanza e distraendo dall’opera teatrale vera e propria, la quale, peraltro, non manca di numerosi spunti di riflessione.
Insomma, uno spettacolo ricco, forse anche troppo, che, con sagacia e originalità, analizza e reinterpreta la figura di Giuda, aspetto di cui si sentiva la mancanza in Chi sei tu? del giorno precedente, non come semplice antagonista, bensì come strumento per la possibilità di espressione della infinita bontà di Gesù, personaggio dinamico e (finalmente) rivalutato.