La scena è occupata per intero dalle diciassette donne nerovestite, allineate lungo il proscenio. La narrazione è interamente affidata al dialetto e conduce il pubblico in una dimensione ultraterrena in cui i congiunti morti rispondono alla richiesta di “grazie” a favore di coloro che ancora tribolano sulla terra: «Nun te pozzo aiutà», «E puorteme nu fiore», «Pure io te voglio bene».
Le attrici passano subito dall’aldilà alla ritualità più ordinaria, vissuta nella quotidianità, fatta di gesti ripetuti e ostinati che si identificano con il costume della Napoli popolare. Le singole donne si narrano nelle loro piccole manie, trasformandole poi in riti di vestizione per madonne e sante, il cui culto è dovuto e ripetuto allo stesso modo da secoli. Una danza al buio con piccole luci in movimento, una sequenza coreografica con foulard variopinti o una nuvola di tessuto leggero che copre i visi facendo emergere solo le braccia, sono i vari espedienti di raccordo tra le diverse ambientazioni. Fantasioso quanto improbabile il finale che vede tutte le protagoniste vestite di bianco: non pienamente consapevoli di ciò che è accaduto, prendono atto della nuova condizione senza capacitarsene e abitano uno dei luoghi più “reali” dell’immaginario collettivo meridionale: il purgatorio. Luogo di attesa, ma anche di comunicazione fra la terra e il cielo.
La teatralità del dialetto spesso conduce il pubblico al sorriso, anche quando la parola risulta non del tutto comprensibile, mettendo in risalto la spontaneità delle attrici, la cui performance è, con evidenza, frutto di un lavoro laboratoriale. Il flusso continuo e perfettamente intrecciato dei personaggi permette solo a chi ha esperienza di Napoli di riconoscere l’anima delle tradizioni e delle consuetudini familiari: il culto dei morti, i numeri da giocare al lotto, il segno della croce al suono delle campane e le letterine d’e creature sono piccoli esempi della vita di un popolo.
La funzione sociale e culturale del laboratorio che ha permesso la realizzazione di questo spettacolo ha raggiunto con successo l’obiettivo di coinvolgere le donne di un quartiere e in un quartiere, emblema della difficile vita partenopea, come quello di Forcella. Naturalmente, per tutte le espressioni strettamente legate a una realtà è necessaria la conoscenza del codice culturale che le ha ispirate per poter comprendere il senso delle tradizioni senza che esse cadano in stereotipi universalmente riconosciuti.