Tema teatrale, non foss’altro per la locuzione teatro di, la guerra approda in scena. Teatro Sotterraneo, valido gruppo fiorentino, intitola lo spettacolo, realizzato in estate per il Festival di Santarcangelo, WAR NOW!, maiuscole incluse. Nutriamo aspettative; non stringenti: memori dei consigli di John Updike sulla recensione (e, quindi, la fruizione), accordiamo agli artisti la più totale libertà, nella speranza della sorpresa.
Sipario aperto, scena disadorna. Buio. Cinema. Risuona We’ll Meet Again, celebre pezzo di Vera Lynn, eternato da Kubrick in Il Dottor Stranamore [leggi il relativo Sdottorazzo, ndr]. Scorre un video di gesta belliche. Richiami plausibili: il brano fu autentica colonna sonora della chiamata al fronte dal 1939 in là, per poi farsi indimenticabile con la faccia di Peter Sellers. Ecco Matteo Angius, Sara Bonaventura e Claudio Cirri, abiti casual: “Avete mai ucciso?”, chiedono alla platea. Quesito viperino, risposte biascicate. Disagio concreto, non per l’infilata dell’interlocuzione diretta, ma perché la risposta (si parla di animali, non solo uomini) è nient’affatto banale. È questa la fase che più da presso lambisce la prefissa indagine sui «meccanismi manipolatori, fra infowar e disinformacjia […] dove il divertimento anestetizza l’orrore».
Bardati da ingombranti tute, i tre simulano una concitata azione bellica. Siamo in un film, o in un videogame: voci amplificate debordano sul ruvido tappeto sonoro di scoppi, la battaglia infuria, violenta, inarrestabile. Segue la conclusione dello scontro, consacrata al tavolo della pace (e spettatori convocati in scena) dai discorsi in memoria, la routinaria consuetudine retorica della ricostruzione. Pupazzata, come il vuoto pneumatico, elemento disumano, troppo umano, d’una specie incapace d’abdicare alla guerra come soluzione e, peggio, di non mentirsi al riguardo. Ancora We’ll Meet Again: ora è Johnny Cash, voce profonda, già malata negli American Recordings, sigillo emotivo d’un ulteriore e quasi metafisico ci rivedremo, mentre vengono declamati in lettura i nomi delle vittime del “conflitto” appena concluso. Sono quelli degli spettatori, cui era stato chiesto, prima, di lasciarli su un’agenda.
La sensazione è d’incompiutezza, come se qualche tassello non combaciasse, sparigliando il mosaico ordito dai sotterranei. Al di là dei sorrisi strappati nel ping pong scena/platea, delle pur corrette malizie nei riferimenti, il disorientamento, padre della sorpresa, non ha luogo: imbrigliati sul piano dell’arguzia, non si viene investiti come argomento e intenzioni vorrebbero. WAR NOW! potrebbe, dovrebbe, metterci in crisi, sbatterci in faccia l’ipocrisia dei buoni sentimenti (bella trovata, però, la bandiera della pace in grigio), ferire nell’intimo il sonnambulismo connivente in cui viviamo, concentrati sui conflitti che ci vengono propinati, ignorando quelli che, invece, non fruttano in fatto d’immagine. Niente di nuovo, in tal senso, ma efficace, come certe cose di Malthus rimbalzateci in testa durante l’azione o la prospettiva bellico-igienica futurista mista a certi interventi papiniani. Spunti meno contemporanei, non meno attuali, specie se impugnati criticamente. Insomma, al termine d’uno spettacolo come questo dovremmo star male, portarci a casa dolore e pensieri da rielaborare: restiamo, invece, con un mortifero “E allora?”, a sospettare la scarsa urgenza non dell’intenzione poetica, ma della sua circoscritta traduzione formale.
[Vai allo Sdottorazzo: «Ci incontreremo ancora»: Apocalisse “sotterranea” tra Vera Lynn, Peter Sellers e Johnny Cash]