Prosa, Lirica, Danza: sono contenitori comodi, ma a spese di esperienze peculiari che vengono sacrificate nel processo sistemico. Eppure, è sempre dietro l’angolo il rischio di accomodarsi e dire che, in fondo, tutti gli esiti teatrali possono essere, più o meno facilmente, incasellati nella giusta definizione. Ben vengano, quindi, spettacoli come A Loan che ci costringono a riconoscere una realtà più frastagliata, dove non c’è una convenzione cui aggrapparsi, bisogna solo creare e farlo bene.
Di base danzatrice, Irene Russolillo da un paio d’anni conduce – prima con Ebollizione e, dopo, con Strascichi – una ricerca personale: abbandona gli schemi, pur mutevoli, della danza contemporanea, per cimentarsi in un linguaggio fatto, sì, di danza, ma anche di recitazione, di canto e, soprattutto, di creazione.
Il suo nuovo progetto, A Loan, debutta al Festival Inequilibrio di Castiglioncello. Russolillo parte dai sonetti di Shakespeare, questa volta: non per esplorare una zona meno frequentata della produzione del Bardo, ma per trarne spunti. Le due composizioni scelte sono recitate nell’originale inglese arcaico, quindi pressoché incomprensibili a orecchio: a chi importa il significato? Sono solo un segmento, uno tra i tanti, che compone il percorso in cui ci guida la danzatrice. In scena vediamo un essere, forse asessuato, che soffre di una mancanza endemica: di cosa – o di chi – non si sa, ma nemmeno ci interessa.
Nasce dal buio, questa entità, e dal canto della protagonista: pian piano l’oscurità si dirada e intuiamo delle gambe nude e un cranio pelato. La solitudine è evidente, nella scena nera, dominata dal bianco del tappeto, in cui troviamo solo due casse, al centro. Da queste emana la musica, ma serviranno anche come elemento scenografico a una Russolillo sempre in cerca di una posizione, di un equilibrio stabile in cui possa assestarsi. Non ci riesce mai, è sempre in frenetico movimento, sempre in cerca di qualcosa che non trova.
A dare senso e mutevolezza all’ambiente sono le luci di Valeria Foti, perfettamente dosate e calcolate ai limiti del virtuosismo: ora calde, ora gelide; ora accecanti, ora quasi impercettibili. Irene Russolillo scivola, gattona o danza da un punto all’altro dello spazio scenico, come un ragno che, con sorprendente precisione, tesse una ragnatela flebile, ma robusta fatta – in questo caso – di suggestioni.