Cualquier mañana, degli spagnoli Laura Aris e Álvaro Esteban, è un duetto di soli venti minuti, ma intenso, molto pensato, pieno di contenuti e di linee originali.
Il discorso dei corpi occupa bene lo spazio: ci troviamo nel parco del Castello Pasquini, nell’arena all’aperto impropriamente chiamata anfiteatro. Non manca molto al tramonto. Le gradinate di pietra sono vuote per metà.
La musica diffusa dalle casse – di Roger Marin – non ha melodia; è una sonorità di trasporto, basica, fasica, di percussioni e ripercussioni.
I gesti dei due evolvono, come evolve un rapporto, non sempre in meglio. Non prese, né sollevamenti, né cadute; ma posizioni, equilibri, figure (alcune di queste sono sorprendenti, l’intreccio flessuoso e asimmetrico ha un che di manierista, nel senso buono del termine). Il lavoro degli arti superiori è notevole, in un alternarsi di sforzo massimo e completa perdita di tensione.
Uomo e donna hanno necessità del contatto, bisogno di seguirsi, toccarsi, riempire vuoti fisici ed emotivi.
Sorreggersi. Elevarsi. Scontrarsi.
Senza di lei lui cadrebbe.
Senza di lui lei cadrebbe.
Le linee che lei aveva disegnato sul proprio corpo all’inizio – da una mano all’altra, passando sopra le scapole – e poi anche su quello di lui, finiscono con l’essere cancellate: dal sudore, dallo sfregamento. Anche la lotta, petto contro petto, in una mattina qualsiasi (cualquier mañana, any given morning, così titolo e sottotitolo), può darsi: ogni mattina può essere l’ultima, se ogni cosa è destinata a deteriorarsi.
Gli ultimi movimenti di lui, nel silenzio, sono quasi il dibattersi di una bestia agonizzante, che grida afona e, non più trattenuta, cede, si abbandona a terra, mentre lei abbandona il campo.