C’è curiosità, esiziale patologia dei nostri tempi, per A-solo con Aniello Arena. Sin dall’invito a scegliere questo titolo, nella crudele vocazione di VolterraTeatro per gli spettacoli in contemporanea. Studi di assenza in pubblico, aggiunge Armando Punzo, autore e regista: di fianco all’attore, in nero, nella semioscurità d’una ex cappella, esaurita la replica di Shakespeare. Know Well. Curiosità per un interprete di conclamata bravura, non solo per i quindici e più anni trascorsi nella Compagnia della Fortezza o per le glorie supplementari del cinema, ma per capire come sarà traslato il suo innegabile portato espressivo in una performance solistica.
«Vorreste uno spettacolo in cui parla della sua vita o in cui fa i personaggi interpretati negli anni?», ci spiazza il regista e apre il dibattito tra gli sparuti spettatori distribuiti lungo le pareti. Biografia o recitazione, Gesù o Barabba: come fosse possibile dare artifici che non trattengano stille vitali, come se il dualismo avesse ragion d’essere. Timide, pigolano voci: discussione larvale, eco rovesciata di quella a Pomarance, la sera antecedente; prevalgono, in questa sede, l’opzione attorica (Arena concorda: «Non m’interessa parlare di me, mi annoia…», come biasimarlo?) e una riflessione su inciampi e inganni del puro biografismo. Siamo in carcere, del resto, alla presenza di vari colleghi d’arte e reclusione di Aniello. Che ride, motteggia Armando. Si punzecchiano, coppia comica d’eccezione.
Studio: è questo il caso? Forse. Forse no. Punzo espone dubbi, intenzioni, schiude le porte del proprio laboratorio creativo, i suoi processi più intimi, fragili e, al contempo, poderosi. Favoleggia d’una teca in cui esporre l’attore («Sempre rinchiudere mi vuole», la replica, feroce), nel paradosso liminare del teatro, dove l’assenza si concreta in carne, corpo, realtà subito negata, dissolta. Arena s’impone, ecco i personaggi: da Marat-Sade, da Hamlice, da Santo Genet. Istrionico, violento, burattinesco, ma pure compunto, attore consumatissimo: estrema la misura nei passaggi, quando la maschera si stempera nel volto, come una piazza terminato il carnevale.
La musica, compagna sinora discreta, scorta l’ingresso di tre pannelli in plexiglas: sorretti a mano, circondano Aniello. Avanza verso il pubblico. Lo invita. S’approssimano facce. Guardano di là dalle pareti: The Artist Is Absent, pensiamo, nella negazione del tramite materico, rovesciamento teatrico d’ansie performative tra contemporaneo e à la page. Toccano la trasparenza opacizzata dai respiri, i polpastrelli lasciano tracce sbafate.
Punzo dirige attore e pannelli sul fondale. Adesso vediamo la teca: pareti disposte in altezza, fissate, inserite due lampade. Arena si sveste e riveste, imbraccia un violino posticcio, accenna passi di danza. Di nuovo maschera, offerta al guardo del (sempre) gentile pubblico, King Kong senza Empire State Building da scalare. Punzo osserva, cambia lato, si sdraia, dà indicazioni. Procede per strappi, intuizioni, cercando, quasi nel buio. Sembra d’assistere a una prova e, per paradosso, è già uno spettacolo, letteralmente.
Gli applausi sciolgono tutto e, nel domandarci cosa abbiamo visto, pur non essendo tra i tanti (troppi?) adoratori-aprioristici-dell’Armando, ammettiamo che, pure questa volta, siamo con lui. E che questo studio ci è parso assai più onesto, lecito e quadrato di molti altri sedicenti consimili visti (altrove) negli anni.
[Le fotografie ci sono state gentilmente concesse da Simona Fossi ©]