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La gatta sul tetto che scotta
16/12/2014 21:00 - 23:00
Secondo Premio Pulitzer nel 1955 per il drammaturgo statunitense Tennessee Williams (il primo nel 1948 gli venne assegnato per Un tram che si chiama desiderio), La gatta sul tetto che scotta narra la storia di una donna di bassa estrazione sociale, Maggie, che per alleviare la cocente situazione familiare in cui si trova e per timore di dover lasciare la casa e il marito, imbastisce una rete di bugie.
Vittoria Puccini, musa cinematografica di registi come Sergio Rubini e Gabriele Muccino, salirà per la prima volta sul palco di un teatro in uno dei ruoli immortali della drammaturgia del ‘900. Accanto a lei, avviluppato nella fitta rete di bugie della moglie, si muove il Brick di Vinicio Marchioni, il Freddo nella serie Tv Romanzo criminale di Stefano Sollima. Interamente ambientato nella loro camera da letto, Brick e Maggie portano avanti un matrimonio bianco. Maggie, innamorata perdutamente del marito, ex sportivo ed attualmente infortunato ad una caviglia, è stufa della situazione e gli chiede di desiderarla, non riuscendo però a solleticare minimamente le fantasie dell’uomo: questi da tempo è assorto completamente nelle nebbie dell’alcol. Si scherma dagli attacchi della moglie con risposte brusche. Tra giochi passionali e abili caratterizzazioni, guidate con mano sicura dal regista Arturo Cirillo, affiorano a poco a poco tra Brick e Maggie sensualità cariche di sottintesi e di contenuti inespressi o inesprimibili; all’ideale purezza dei sentimenti si contrappone la dura realtà di un mondo familiare e sociale pieno di ipocrisie.
Note di regia
La famiglia è ancora il luogo dove Williams fa risuonare le sue parole, il luogo dove, grazie alla sua capacità di narrare i sentimenti dei personaggi, un gruppo di attori possono dare vita ad una coralità di conflitti. È difficile trovare in questo autore dei personaggi non risolti, dei personaggi di cui sia difficile trovare una propria emotività, sarà anche perché lui non sembra avere paura del melodrammatico, dell’eccesso, del melò, anzi li usa come parte della nostra vita. Forse proprio perché non ha paura del falso e dell’esagerato riesce, per contrasto o completamento, a trovare il vero. Pochi scrittori di teatro come lui hanno avuto un rapporto così forte con l’immaginario, e non a caso la più grande industria del sogno che è il cinema lo ha coinvolto spesso, infatti ‘La gatta sul tetto che scotta’ è un celeberrimo film holliwoodiano degli anni ’50. Ma prima è stato un testo per il teatro dove si concentra in un unico spazio temporale e fisico l’ossessione di un’idea di amore impossibile, perché troppe sono le rinunce di una famiglia dedita al successo e ai soldi, alla proprietà, in cui la vita appartiene a chi la sa comprare e a chi la vive secondo la più bieca convenzione. Sotto, nascosto da qualche parte ma che scalpita e brucia, c’è il sogno, di due uomini che si innamorano, di una donna che fugge dalla povertà della sua infanzia, di un dispotico e misogino padre imprenditore, fattosi tutto da se, che scopre davanti all’ipotesi della propria morte una fragilità ed una tenerezza per il figlio alcolizzato, sportivo fallito. Ma anche il sogno della moglie di lui, donna abituata a fare di se stessa la rappresentazione vivente di una bugia ma che alla fine non potrà che farsi abitare dalla propria infelicità. Poi ci sono l’altro figlio, avvocato rampante e prolifico di prole, e la sua consorte, arrivati in casa per impossessarsi dell’intera eredità del padre morente, portatori di fasulli ‘nidi d’amore’, ma in fondo drammaticamente vittime di carenze d’affetto. Ma Williams mette anche in scena, non casualmente, un prete molto interessato ai beni terreni, e un medico burocrate del dolore.
In un gioco drammaturgico di contrasti, dove alla mancanza di figli di una coppia corrisponde una presenza eccessiva e quasi nevrotica di bambini da parte dell’altra, dove mentre due coniugi si torturano per il loro non riuscire ad amarsi, si frappongono suoni di canzoncine e giochi di bambini, ma anche sinistri grida di falchi. Il contro canto, la stonatura è ciò che più caratterizza il mondo di questo inquieto scrittore americano, americano ma per fortuna universale e senza tempo nel riuscire a parlarci di noi, nonostante che siano passati molteplici decenni, e che temi come l’omosessualità siano diventati meno celati di prima. Ma vogliamo immaginarci ancora oggi cosa comporti all’interno di una coppia eterosessuale la presenza di un partner con tendenze sessuali diverse? All’interno del mondo dell’imprenditoria e dello sport l’idea di un uomo che non sia per forza un conquistatore di donne? O cosa, ancora più difficile, comporti arrivare ad una serena accettazione di se stessi? Pochi personaggi sono così misogini come il padre di ‘La gatta sul tetto che scotta’, come pochi personaggi hanno in se una così forte femminilità come suo figlio Brick. Poi ci sono le donne che hanno vissuto la complessità della vita e che si trovano a dover difendere il proprio amore contro un mondo che le offende, le isola, spesso non le ama. La gatta Margaret, parente della Blanche di ‘Un tram chiamato desiderio’ anche se meno distruttiva, non si dà pace e non si dà per vinta, difronte alla rimozione di suo marito, e difronte alla solitudine di un letto abitato solo da lei, rivendica il proprio desiderio di felicità con l’uomo che comunque ama, anche per le sue ambiguità.
Come i vetri degli animaletti di un personaggio di un altro testo di Williams, ‘Lo zoo di vetro’ da me molto amato e frequentato in questi ultimi anni, anche i personaggi di questo dramma si rompono, vanno in frantumi, facendo molto rumore, anche se ci sarà l’ipocrisia di chi dirà che non ha sentito niente, di chi non si è accorto che c’è una casa che brucia e sopra al tetto che scotta una gatta, che di saltare giù non ne vuol proprio sapere.
Arturo Cirillo