In occasione dei trentacinque anni di attività della compagnia MOMIX, Moses “Dream Catcher” Pendleton [in basso, a fine articolo], coreografo del celebre gruppo, ha voluto dare vita a una spettacolare collezione delle più straordinarie e suggestive realizzazioni, condensandole nello spettacolo W Momix Forever, andato in scena in prima mondiale il 10 giugno al Barclays Teatro Nazionale di Milano, stessa data e città della prima esibizione in assoluto dell’ensemble, datata 1980. E, come spesso in passato, questa volta è il teatro della Versiliana ad accogliere gli straordinari acrobati-danzatori-illusionisti in questo pastiche di suoni, colori, luci e movimento. Occasione spettacolare e mondana al contempo, se si pensa che, al termine della performance, Dianora Poletti e Luca Lazzareschi (rispettivamente presidente della Fondazione e direttore artistico della Versiliana) hanno consegnato a danzatori e coreografo la scultura realizzata da Anna Chromy dal titolo Il danzatore, come simbolico omaggio alla carriera.
La scansione scenica per singoli quadri incuriosisce fin da subito lo spettatore, che si lascia incantare dall’originalità delle scelte coreografiche e dalla tensione muscolare sprigionata dai corpi dei danzattori. Ciò che risalta sin da subito è la cura maniacale nella ricerca dei materiali, dei tessuti e degli oggetti scenici che sembrano diventare estensioni degli arti dei ballerini. Questi li plasmano tra le mani, i piedi e i corpi, conferendo nuova vita e significato a cose altrimenti inanimate.
Atmosfere lunari, tribali, western, marine, orientali, floreali, mistiche, surreali, sensuali, ironiche: tutte sapientemente annaffiate da magistrali giochi di luce che spesso invadono non soltanto il palcoscenico, ma l’intero teatro, includendo anche le prime file nei bizantini giochi tridimensionali composti da riverberi, bagliori e zone d’ombra.
Ogni spettatore si ritrova a interpretare ciò che vede e che gli viene proposto in modo libero e soggettivo ed è questa un’altra delle peculiarità della compagnia: offrire quadri che possano smuovere sensazioni intime molto diverse, ma tutte molto suggestive. Particolare è pure la gestione della scena: i ballerini cercano di occuparla sempre per intero, ma mai in modo lineare o concentrandosi solo sul centro. Il controllo degli spazi, infatti, è a volte irregolare, asimmetrico, in altri casi calibrato al millimetro, mai scontato e banale. Anche la nudità di alcune danzatrici è trattata come elemento scenico e non “effetto”: non disturba, passa quasi in sordina, anche se presente e visibile, poiché calata in una dinamica estetica giustificata e complessa.
La domanda finale resta: se valga o meno la pena di assistere a una performance agìta da eccellenti artisti, ma che potrebbe, negli anni, essere sempre la solita cosa declinata in modo diverso. L’impressione è che la base del lavoro, l’idea primigenia e il desiderio di creare stupore siano identici, ma che cambino nel corso degli anni in base agli stimoli e alle differenti sollecitazioni raccolte in giro per il mondo. Quindi l’invito è quello di farsi, almeno una volta, coinvolgere visivamente da questi artisti.