ARCHIVIO SPETTACOLI
Medea, Seneca-Magelli (2015)
Titolo: Medea
di Seneca
traduzione Giusto Picone
adattamento teatrale Paolo Magelli
regia PAOLO MAGELLI
scena e costumi Ezio Toffolutti
musiche Arturo Annecchino
PERSONAGGI E INTERPRETI (o.a.):
Medea Valentina Banci
Giàsone Filippo Dini
Creonte Daniele Griggio
Nutrice Francesca Benedetti
Messaggero Diego Florio
Corifee Elisabetta Arosio, Simonetta Cartia, Giulia Diomede, Lucia Fossi, Clara Galante, Ilaria Genatiempo, Carmelinda Gentile, Viola Graziosi, Doriana La Fauci
Corifei Enzo Curcurù, Lorenzo Falletti, Diego Florio, Sergio Mancinelli, Francesco Mirabella
costumi Laboratorio di sartoria Fondazione Inda Onlus
scenografie Laboratorio di scenografia Fondazione Inda Onlus
produzione Fondazione Inda Onlus – 51° ciclo di spettacoli classici, Teatro Metastasio Stabile della Toscana
“Si sono spesi fiumi di parole sullo stoicismo di Lucio Anneo Seneca, sul suo moralismo, sulla condanna inappellabile di Medea.
Su questa tragedia pesano, incredibile ma vero, quasi duemila anni di giustificazioni moral-mitologiche che hanno oscurato in gran parte la grandezza letteraria, l’estrema modernità e la dimensione politica di questo meraviglioso testo.
È stato solo alla metà del novecento, con lo straordinario lavoro di Hans Henny Jahnn in teatro (che ebbe il coraggio di classificare Seneca come primo grande Maestro dell’espressionismo) e con la ricerca puntigliosa di Wilhelm Reich, allievo prediletto di Sigmund Freud, che si sono ritenute le difese caratteriali di Medea come un diamante che affiora da uno scavo archeologico dell’anima. Uno scavo durato appunto quasi duemila anni. L’autore del famosissimo “Analisi del carattere” dedicò alcune memorabili lezioni alla Medea di Seneca fra il 1925 e il 1930, che sono conservate all’università di Vienna, strappando il testo dell’autore di Cordova dalle mani dei moralisti e sistematizzandolo come uno dei testi fondamentali della letteratura moderna. Una delle grandi lezioni di Reich ispirate da questa tragedia si intitola appunto “La follia dell’amore”.
Medea quindi all’inizio dello spettacolo è già una donna pazza d’amore, o meglio una donna impazzita dall’amore e ferita a morte dall’abbandono di suo marito, Giasone.
E io non posso non essere d’accordo sul fatto che la storia fra i due inizia quando Medea, bambina selvaggia, dialoga con la Luna e le stelle di notte e con il sole di giorno. Una bambina selvaggia che in quest’amore trova la forza, chiedendo all’universo di spostarle le stelle. Una forza barbara iniettata nel suo sangue dalla sua solitudine Caucasica. Una fanciulla che nel cielo aveva scoperto la sua vocazione al viaggio.
È lì, quando Pelia, usurpatore del trono di Giasone, per liberarsi di lui, lo invia nella missione impossibile di rubare il vello d’oro – che è una pelle sacra di montone ed appartiene ad Eete, padre di Medea – che il destino di LEI prende forma.
Giasone parte con la nave Argo e con gli Argonauti sbarca nella Colchide (oggi Georgia-Turchia) e incontra Medea, che si innamora perdutamente di lui e lo aiuta a ad impossessarsi del vello d’oro con le sue arti di ‘fanciulla-maga’. Poi s’imbarca e fugge con lui.
Per fermare il padre, Medea non esita ad uccidere l’amatissimo fratello Absirto, gettando il cadavere a pezzi nella acque, e a compiere numerosi delitti.
Ma Medea agisce solo e sempre per salvare Giasone, ovvero per salvare la giustizia della sua scelta di vita, per difenderla, così come numerose volte salva la nave Argo e riesce a portare in salvo il fiore dell’intellettualità greca.
Ma il suo peccato vero pare essere il fatto di avere congiunto due mondi con il suo navigare, di aver tracciato in mare il solco che permetterà alle genti di circolare liberamente, di aver portato conoscenza e violato la tranquillità dell’isolamento dei popoli.
Perché lei ha fatto molto più di Tifi, il timoniere, per arrivare dall’altra parte delle acque, per portare Argo a Corinto.
Medea avrebbe potuto essere regina, vivere in pace, ma ha scelto la via dell’amore assoluto e, come dice Reich, il suo viaggio è stato terribile perché non ha rinunciato mai ad arrendersi. E deve pagare, con la follia, perché il folle non si piega, ma si spezza dentro. Ed è perché non si piega, che è folle. Conclusione terribile che ci presenta un mondo di ‘inchinati’, di obbedienti, come solo mondo possibile.
Medea invece ritiene che ogni forma di potere sia ingiusta, e che non esistano terre felici.
Dove andare? Dove continuare a vivere senza Giasone e senza i figli? Perché?
E dentro questa creatura martoriata inizia un dialogo, o meglio una guerra, fra due io, quello lunare che la spinge alla riflessione e alla contemplazione dell’anima e quello solare che le impone la distruzione di tutto.
E che la porterà ad uccidere i propri figli e quindi alla morte“.
(Paolo Magelli)