Mario Perrotta nasce a Lecce nel 1970. Nella periferia della città (costituita da campi incolti e palazzi di sette piani) impara da piccolo: il gioco del pallone praticato sui “petruddhuli” ( pietriccio, ghiaino, materiale inorganico pre-urbano), il dialetto leccese (assolutamente vietato in casa con la madre ma non a casa dei nonni), le mazzate di sopravvivenza (forma di scontro fisico quotidiano, atta a dimostrare che non hai paura anche quando ce l’hai) e la leggerezza dell’essere (praticata arrampicandosi sulle impalcature dei palazzi in costruzione giocando “a chi arriva più in alto”). Dal 1975 al 1979 perde sistematicamente tutti i campionati annuali di pallone, di mazzate e di “a chi arriva più in alto” e intanto pratica con metodo il dialetto. Nel 1980, grazie allo sforzo profuso in precedenza, vince clamorosamente tutto il vincibile, raggiungendo, nell’ultima specialità della stagione (a chi arriva più in alto), il quinto piano della casa popolare in costruzione “cooperativa la Candida”. Il record resterà imbattuto 3 anni. In casa con la madre impara l’italiano, le opere liriche e il teatro in lingua; con il nonno omonimo pratica il teatro in vernacolo; sui treni usati per raggiungere il padre a Bergamo viene affidato alle famiglie di emigranti di cui ricorda gli “sguardi da partenza”; sui treni usati per tornare a Lecce, sempre affidato agli emigranti, impara gli “sguardi da ritorno”. In questo periodo è soprannominato Goldrake a causa di un vistoso apparecchio correttivo per i denti. Fondamentale in questi anni è la presenza della zia Zaira e dei suoi dischi: è in questo periodo che nasce la passione per tutto il trash italiano anni ’50 – ’70. Ferratissimo su Albano e Mario Tessuto approderà ai Led Zeppelin e più in generale al rock, solo negli anni ’90.
Nel 1984 si iscrive al liceo scientifico perché “il futuro è l’ingegneria e l’informatica” odiando però la matematica, la fisica e l’inglese e naturalmente predisposto alla materie umanistiche. Viene rimandato una sola volta in latino, nonostante la media dell’otto, per aver mandato “fanculo” il professore che oggi ricorda come un maestro di vita. Naturalmente predisposto alle materie umanistiche si iscrive ad ingegneria a Bologna: il giorno dopo il primo esame, passato con successo, cambia facoltà scegliendo filosofia. Nel 1989/90 frequenta per pochi mesi una scuola di teatro e poi, insoddisfatto, un’altra scuola teatrale sempre a Bologna: è qui che nasce il nucleo fondatore della Compagnia del Teatro dell’Argine. Fondamentali in questi anni il lavaggio macchine e i ristoranti presso i quali lavora per mantenersi agli studi: in questi luoghi costruisce un concetto epico di sé stesso che lo accompagnerà sino agli ultimi anni del vecchio millennio. Con gli altri fondatori del Teatro dell’Argine intraprende dal 1994 un percorso formativo e artistico improntato sulla nuova drammaturgia e soprattutto sulla scrittura dei testi che la compagnia mette in scena, alternando ad esso esperienze più “classiche” e occasionali con varie compagnie di giro (tra gli altri, ricorda con ammirazione l’esperienza con Glauco Mauri) e guardando tutto ciò che c’è di visibile in VHS dei grandi attori e registi del teatro italiano, ai quali cerca di rubare i vecchi segreti del mestiere di cui, ancora oggi, fa uso come può.
Dal 1996 al 1998 grazie a lunghi periodi di fermo teatrale forzato, si mantiene facendo il tecnico luci, in contesti spesso poco utili ma con alcune eccezioni “illuminanti”, imparando così un altro aspetto fondamentale del teatro: il segreto della luce sta nei bui che riesce a creare.
In questi anni interpreta anche alcune fiction di successo di cui ricorda gli ottimi cachet. Intanto, sempre a Bologna, consegue la Laurea in Filosofia con 110 e lode presentando una tesi sull’estetica di Pirandello.
Fondamentale nel 1998 l’incontro con Paola Roscioli, attrice di scuola strehleriana, che diviene sua compagna stabile, nella vita e nel lavoro, grazie alla quale comincia a sgretolare tutte le certezze epiche su sé stesso per approdare a un visione più complessa e problematica di sé e del mondo, scoprendo il confronto come strumento sistematico di creazione. Nello stesso anno il Teatro dell’Argine vince il bando di concorso per la gestione dell’ITC Teatro di S. Lazzaro (BO) accelerando improvvisamente la propria attività organizzativa e produttiva.
Trasferitosi a Roma, ma continuando a lavorare con la propria compagnia, comincia a comprende che la fuga vertiginosa dalla periferia di Lecce, che lo ha condotto prima Bologna e poi a Roma, ha un unico esito possibile: il ritorno a casa. Non un ritorno fisico ma un ritorno dell’anima. Inizia così a progettare “cose” intorno alla sua terra in un processo di riaccostamento graduale ma costante.
Nell’estate 2001, progetta e dirige per il Comune di Otranto il festival Otranto In Scena. Nelle tre edizioni realizzate il festival ospita compagnie assenti dalla Puglia da oltre 20 anni come il Teatro dell’Elfo, e ancora Ascanio Celestini, Lorenzo Salveti, Paolo Rossi, Peppe Barra, Laura Curino, Ozzano Teatro Ensemble. Purtroppo, lo scontro permanente con l’amministrazione forzitaliota, della quale deve risolvere gli svarioni organizzativi e a cui deve spiegare ogni nuova edizione la differenza tra gli spettacoli ospiti e il culo di Valeria Marini, decreta la fine di quell’esperienza.
Ostinatamente, ritorna sul luogo del delitto, spinto dal bisogno personale di trovare una fusione tra le proprie radici e il teatro. Un’apparente illuminazione (in realtà frutto di lunghe elaborazioni inconsce) lo coglie sulla strada statale tra Maglie e Otranto: quella terra va “raccontata”, e nessuno meglio di chi l’ha dovuta lasciare per forza (gli emigranti), può raccontarla con lo sguardo giusto, né troppo miope né troppo presbite. Dall’inverno del 2002 si dedica a tempo pieno alla raccolta di testimonianze orali degli ex-emigranti salentini e, più in generale, italiani, registrando oltre 150 ore di racconti straordinari che costituiranno l’ossatura del Progetto Cìncali. Fondamentale in questo progetto la collaborazione con Nicola Bonazzi (ottimo drammaturgo e fondatore anche lui dell’Argine), con il quale aveva già condiviso le camere d’albergo di due lunghe tournée, in un’altra compagnia di giro nei primi anni ’90. Intanto, nell’inverno 2003 cura un progetto per l’Università di Bologna, mettendo in scena la Casina di Plauto tradotta da Francesco Guccini, spettacolo che lo vede regista ed interprete insieme al noto cantautore nelle insolite vesti d’attore. Nella primavera 2003, ormai prossimo al debutto di Italiani cìncali, decide di procrastinare lo stesso debutto di tre mesi, causa un’incontro irrinunciabile e inseguito da tempo: il Teatro dell’Elfo e Shakespeare. Debutta al festival shakespeariano di Verona con il Mercante di Venezia diretto da Elio De Capitani. Tra le condizioni contrattuali riesce a strappare una partecipazione vocale al suo progetto dello stesso De Capitani e di Ferdinando Bruni i quali, durante la registrazione, si dicono convinti e felici di aderire, distinguendosi ancora una volta agli occhi di Perrotta per la loro signorilità. Da quel momento Perrotta si autoconvince che anche gli altri artisti che accolgono la richiesta (Laura Curino, Ascanio Celestini e Peppe Barra) abbiano accettato per adesione culturale e non per sfinimento.
Comunque il cerchio si chiude: troppo in là con l’età per il gioco del pallone, troppo sofferente di vertigini per “a chi arriva più in alto”, troppo consapevole che se hai paura è meglio mostrarla piuttosto che tirare mazzate di sopravvivenza e scoperta l’insostenibile leggerezza dell’essere, non gli resta che il dialetto leccese per riconciliarsi con quella periferia anni ’70 da cui era fuggito per chissà dove.
Va in scena, insieme alla sua lingua madre, nel settembre 2003 con Italiani cìncali e, nel settembre 2005, con La Turnàta, i due capitoli del progetto dedicato all’emigrazione italiana. Tra i due spettacoli, accade un po’ di tutto ma, in particolare, si concretizza la possibilità di pensare nuovi progetti con serenità.
Nel 2005, con Rossella Battisti, progetta e dirige “Teatro Incivile” una collana di teatro in DVD pubblicata con il quotidiano l’Unità e distribuita in edicola da febbraio a maggio 2006. Presenti nella collana: Ascanio Celestini con Fabbrica, Mario Perrotta con Italiani cìncali! parte prima:minatori in Belgio, Emma Dante con ‘mPalermu, Davide Enia con maggio ’43, Giuliana Musso con Nati in casa e Armando Punzo con I Pescecani ovvero quel che resta di Bertolt Brecht.
Nel settembre 2006 al Teatro Argentina di Roma, la Compagnia del Teatro dell’Argine riceve Il Premio Hystrio – ANCT “per la passione e la testardaggine con cui tengono alta la guardia della coerenza e dell’impegno, per la disponibilità a rischiare in proprio e per la capacità di lavorare duramente, senza gli sterili piagnistei di tanto teatro fondato sull’assistenzialismo”. Negli stessi giorni, particolarmente fortunati, Perrotta riceve anche il sì definitivo della Rai, per il programma radiofonico Emigranti Esprèss che, nelle sue intenzioni, dovrebbe chiudere il ciclo dedicato all’emigrazione. Il successo della trasmissione determina la candidatura in finale al Prix italia, premio internazionale per la radio, televisione e web e la vittoria del premio Speciale della Giuria nell’altro concorso internazionale per la radio, in occasione degli 80 anni della TRT, Radio Televisione Turca.
Ma ancora un ultimo e importante capitolo doveva accadere a chiudere il cerchio: Emigranti Esprèss diventa un libro pubblicato da Fandango Libri uscito in libreria il 20 marzo del 2008 e chissà se è veramente finita…
Intanto nel 2007, debutta con il suo nuovo spettacolo Odissea con il quale Perrotta tenta una svolta stilistica nel suo percorso teatrale e, per non saper né leggere e né scrivere, si fa accompagnare da due ottimi musicisti Mario Arcari e Maurizio Pellizzari.
Con molto orgoglio, per la serietà e la dedizione di chi glielo conferisce, a settembre 2008 riceve il Premio Città del Diario assegnato in precedenza a Marco Paolini, Ascanio Celestini e Rita Borsellino, dall’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve S. Stefano (AR) fondato e diretto da Saverio Tutino.
La motivazione del Premio:
“Impegnato da anni in un importante recupero delle memorie dei nostri migranti, Mario Perrotta riesce a riprodurre l’esattezza della testimonianza orale trasformando la cronaca degli eventi in affascinanti racconti teatrali e in storie letterarie che hanno un inconfondibile registro narrativo. Le testimonianze delle quali si fa tramite, inserite in un preciso contesto storico, frutto di un attento lavoro di ricerca, diventano teatro. Un teatro che è riduttivo definire “di narrazione”; ma che è piuttosto un racconto corale animato da molte voci, autentiche e fantastiche, vere e verosimili, fra le quali si nasconde la sua personale traccia autobiografica.”
L’anno 2008 lo chiude debuttando con Prima Guerra dedicato alla particolare posizione del popolo trentino nel primo conflitto mondiale. Gli ruba l’attenzione in scena un’ottima Paola Roscioli, accompagnati entrambi dagli stessi musicisti di Odissea.
Il 2009 lo apre ancora meglio ritrovandosi candidato come Miglior Attore ai premi Ubu 2009 e, pur non vincendo, si ritrova sul palco dei vincitori nell’insolite vesti di presentatore della serata. Consegna con grande pulizia i vai premi ai vincitori tranne quello della sua categoria, consegnato al geniale Alessandro Bergonzoni: un abbraccio sul palco tra i due scopre una scritta sulle spalle del golf indossato da Perrotta: “NON HO VINTO”.
A febbraio è insieme a Stefano Benni, Massimo Carlotto e Valeria Parrella a rappresentare la cultura italiana a Parigi all’interno della “Festa del libro e della cultura italiana”.
A giugno si rifà di quel “non ho vinto” vincendo il Premio Hystrio per la drammaturgia con Odissea.
E tanto per non affidarsi ad alcun punto fermo, appena vinto il premio per la drammaturgia, decide di affrontare un progetto triennale su tre testi classici: Molière, Aristofane e Flaubert, con la convinzione che i testi presi in causa parlino talmente ferocemente del presente che non c’era bisogno di scriverne di nuovi. Semmai è molto interessante tradurli: due volte. La prima in senso letterale e la seconda in senso teatrale cioè, farli diventare atto scenico. Perrotta inizia dalla traduzione in versi de Il Misantropo di Molière e va in scena nell’estate 2009 con la sua regia, otto attori e tre tecnici facendosi dare del pazzo da più di un addetto ai lavori: davanti alla crisi economica più grande mai vissuta tu passi da 1 attore e 1 tecnico, a 11 persone? “Sì, sono un uomo di teatro e non un commerciante” è la risposta teatrale ma sincera di Perrotta.
In realtà non ha deposto completamente la penna, tanto che a settembre del 2009 esce il suo secondo libro: Il Paese dei diari edito da Terre di mezzo editore con l’amichevole prefazione di Ascanio Celestini, nel quale Perrotta racconta esattamente quel luogo dove era stato premiato l’anno precedente: l’Archivio dei diari di Pieve S. Stefano.
L’inverno del 2010 lo trova di fronte a un nuovo dilemma e una nuova sterzata: Aristofane, il secondo capitolo della sua trilogia, pare non essere adatto alla scena contemporanea e soprattutto non risponde completamente alle nuove idiosincrasie di Perrotta, e allora eccolo di nuovo con la penna in mano a riscrivere a suo modo l’autore classico così come aveva fatto per Odissea. Mantiene però fede all’impegno di lavorare con altri attori e, insieme a sei degli otto interpreti di Misantropo, debutta nell’estate con I Cavalieri-Aristofane cabaret. Nel frattempo registra nuovi monologhi per RAI3 che sono inseriti nella seconda puntata de La Grande Storia, in onda su RAI3 il 27 agosto del 2010.
Nel marzo 2011 debutta in anteprima con lo spettacolo Il Paese dei diari, tratto dall’omonimo romanzo scritto nel 2009, mentre, sempre perché certe storie non finiscono mai, il 28 aprile 2011 debutta con grande successo di pubblico e di stampa a Bruxelles con la regia del suo Italiani cincali, nella versione francese interpretata da Hervé Guerrisi, anche traduttore del testo.
Due giorni dopo torna in Italia al volo per tuffarsi nelle prove dell’ultimo capitolo della trilogia che intitola: Atto finale – Flaubert. Anche in questo caso si tratta di una riscrittura totale dove i due straordinari “idioti” di Flaubert, vengono proiettati in un oggi non meglio identificato, per raccontare la solitudine dell’uomo contemporaneo.
Il 12 maggio segna un record personale, che spera di battere presto, con Odissea eseguita davanti a 1700 spettatori nell’Aula Magna dell’Università di Bologna. In realtà, era stato preceduto da Massimo Recalcati che aveva tenuto una splendida lezione “Patris imago – conoscere il padre”. Il sospetto che l’ottima organizzazione dell’Università di Bologna e la presenza di Recalcati abbiano determinato quell’affluenza è forte.
Comunque il suo precedente record era di 1500 ma “in solitaria”.
Il 4 settembre debutta al Festival Castel dei Mondi “Atto finale – Flaubert” l’ultimo capitolo della sua Trilogia.
Neanche il tempo di avvisare gli addetti ai lavori in merito all chiusura del suo progetto che il 12 dicembre Perrotta chiude l’anno 2011 con un traguardo importante e, questa volta, senza dubbi e senza santi in paradiso: presso il Piccolo Teatro di Milano riceve il Premio Speciale Ubu per l’intera Trilogia con la seguente motivazione “Premio Speciale Ubu 2011 a Mario Perrotta per la Trilogia sull’individuo sociale del quale coglie la disgregazione nel mondo contemporaneo”. Sul palco del Piccolo, con il Premio in mano, ringrazia tutti coloro che hanno permesso la realizzazione del progetto e condivide con gli stessi il Premio: dalla platea si alzano a prendere l’applauso più di trenta persone tra attori, tecnici, sarte, costumiste, amministratori, coproduttori e l’intero Teatro dell’Argine.
Il 2012 parte bene con la messa in onda di Paradossi italiani, una serie di micromonologhi su Rai3 per raccontare un’Italia diversa da quella stereotipata dei giornali e delle cronache, un ‘italia civile, che resiste. L’orario della trasmissione è improbabile (01.20) e Perrotta si affida al fatto che è di sabato e domani non si lavora.
A maggio, dopo una prima sortita autunnale, torna al Teatro Valle Occupato con una proposta settimanale di tre spettacoli e due laboratori tenuti al Nuovo Cinema Palazzo, l’altro spazio occupato di Roma restituito allo spettacolo dal vivo. Perrotta propone pubblicamente di occupare più spazi romani così finalmente può concedersi una tournée capitolina. Il sostegno alla causa degli occupanti si trasforma in una settimana ricca di stimoli come raramente capita in situazioni istituzionali.
Ad ottobre va in onda la seconda serie di Paradossi italiani su Rai 3 ma intanto Perrotta debutta nell’opera lirica, scrivendo e firmando la regia di Opera migrante per il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto. L’opera composta da due atti (Andante italiano alla belga/Musica di Lucio Gregoretti e Fuga straniera con moto/Musica di Andrea Cera) è diretta dal Maestro Marco Angius che sopporta con pazienza le intemperanze del regista (di solito è il contrario).
Dopo la tournée invernale e vari “sopralluoghi” e interviste effettuate a Gualtieri nei buchi di tournée, Perrotta debutta a maggio 2013 con la sua nuova trilogia “Progetto Ligabue” per la quale crea anche un sito tutto da visitare: www.progettoligabue.it. Il primo spettacolo dedicato al pittore svizzero-reggiano è Un bès – Antonio Ligabue. Dopo un debutto rocambolesco al limite del gettare la spugna per “stress da prima” lo spettacolo frutta a Perrotta il Premio Ubu come Migliore attore protagonista ex-aequo con Carlo Cecchi: questo volta sul palco e sempre con il premio un mano il pensiero corre dritto a un bimbo di un anno che siede in prima fila e che ha appena imparato a dire “papà”.
Lo spettacolo deve essere venuto davvero bene perché a giugno 2014 vince anche il premio Hystrio-Twister come miglior spettacolo dell’anno a giudizio del pubblico, dopo un’accesa finale con Il Commesso viaggiatore di Elio De Capitani e Le sorelle Macaluso di Emma Dante.
Intanto, a maggio nasce anche il secondo capitolo del Progetto Ligabue, Pitùr, che debutta – come il primo – al festival Primavera dei Teatri. Ma siamo nel 2014 e non poteva passare indifferente il centenario di quella tragedia che fu la Prima Guerra Mondiale e, in settembre, debutta Milite Ignoto – quindicidiciotto dedicato a tutti i dimenticati di guerra, usati dai generali Cadorna e compagnia bella come “carne da cannone” (questa fu la definizione del Cadorna stesso!). Sempre in settembre in libreria esce “IN UNA PAROLA. Frammenti di un’enciclopedia casuale” per Benzoni editore. Saggi di AA. VV. tra questo anche Perrotta che declina la parola “Sesso”.
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