Alla fine si stilano i bilanci, siano essi arlecchini o di natura ben più terragna. Eccoci quindi a colloquio con Giovanni Fedeli [terzo da sinistra nella foto in evidenza, ndr], direttore artistico di Lucca Teatro Festival nonché regista e interprete del gruppo La Cattiva Compagnia, in pratica il “motore” di tutta l’iniziativa. Lo troviamo, appunto, nel bel mezzo della rendicontazione successiva alla settimana di eventi che hanno saputo proporre, a Lucca, un panorama scenico sorprendente, esperienza che ci ha coinvolti a più livelli, sia come osservatori sia come responsabili di un laboratorio critico.
Tralasciando le scartoffie, qual è il bilancio di questo primo Lucca Teatro Festival?
Estremamente positivo: quando, come Cattiva Compagnia, partecipammo al bando europeo nel giugno 2013, non avremmo pensato che il progetto sarebbe andato in porto. Ci sembrava una cosa più grande di noi. Alla notizia della vittoria, ci sono tremate le gambe, perché sapevamo bene che gli oneri non sarebbero stati indifferenti: coinvolgere soggetti istituzionali, fondazioni, cose che, per fortuna, siamo riusciti a fare.
Da subito abbiamo trovato una sponda collaborativa importantissima nel Teatro del Giglio: in un primo momento, avevamo pensato una cosa molto più piccolina, ma grazie all’apporto e alle competenze del Teatro, siamo riusciti a portare il festival nel “salotto buono” della città, con un grande ritorno in termini di prestigio e visibilità. Devo riconoscere che senza l’interessamento e la passione da parte di Cataldo Russo, responsabile della formazione, non si sarebbe potuto fare niente: lui ha avuto la lungimiranza di credere nel progetto.
Anche lui arlecchino: da anni si occupa della stagione ragazzi; quindi portava in dote una cultura pregressa sul tema…
Sì, unita a una grande sensibilità nel voler realizzare un festival teatrale rivolto alle nuove generazioni, ossia non una mera rassegna, ma un insieme di tante cose. Per i ragazzi, ma anche per chi ha a che fare con loro: famiglie e insegnanti. Una bella oppurtunità sia per la città sia per il teatro cittadino.
Quando abbiamo deciso di allestire il festival, abbiamo optato per una formula particolare: innanzitutto, una durata “lunga”, una settimana, con due spettacoli al giorno nei giorni feriali, principalmente per un pubblico portato dalle scuole, aumentando gli appuntamenti nel week-end con più spettacoli e un’anteprima (La gazza ladra di Teatrolinguaggi), sobbarcandoci l’ulteriore onere d’invitare operatori teatrali di livello nazionale che sono venuti non solo a vedere le nostre produzioni, ma anche a respirare quest’aria di… festa.
L’esperienza, quindi, si ripeterà.
Certo, anche perché tutti si sono dichiarati molto soddisfatti: le istituzioni, il Giglio, i suoi funzionari, le mamme e gli insegnanti che ci hanno chiesto di continuare. Un’iniziativa simile, in città, serviva. E, oltre agli spettacoli, sono state importanti tutte le altre iniziative che hanno visto partecipare scuole e ragazzi: come il concorso lanciato sulla base del “sottotitolo” (Che cosa sono le nuvole?), che ha offerto l’opportunità di sviluppare questo tema in senso creativo. In moltissimi hanno partecipato: le realizzazioni sono state esposte e valutate da una giuria che ha assegnato dei premi (materiale didattico, libri, biglietti e abbonamenti a Lucca Comics & Games).
Ci sono stati laboratori, come il vostro sulla critica teatrale (cui si è aggiunto anche Mario Bianchi), che credo sia uno dei più riusciti, perché ha saputo avere continuità e costanza. Di fatto, il teatro ragazzi non è solo per ragazzi, ma trasversale: abbiamo visto allestimenti come Il cielo degli orsi, e sfido chiunque a dire che possa essere riservato esclusivamente a bambini: durante lo spettacolo, mi giravo a vedere le facce degli adulti in sala e non ce n’era uno che non fosse commosso. E anche per i ragazzi che hanno fatto teatro a scuola, sono convinto che una full immersion come questa non l’avevano mai fatta prima.
Molto bella anche la parte degli incontri: Stefano Benni, prevedibilmente, è stato il nome più di richiamo e il suo è stato un incontro molto divertente; gli altri sono risultati interessantissimi, con Mariano Dolci, Carlo Presotto e Giacomo Verde. La scommessa per il pubblico è riuscire a far capire che non si tratta di incontri “di settore”, riservati agli addetti ai lavori, ma chiacchierate interessanti per tutti.
Qual è la cosa, rispetto al festival, che faresti diversamente potendo tornare indietro di qualche mese e qual è la cosa di cui sei più orgoglioso?
Ci sono alcune cose da aggiustare, ma è normale: alla fine del festival, ci siamo chiesti quali siano stati i pregi e i difetti del nostro lavoro e devo dire che le criticità sono state minime, anche se, ovviamente, si può migliorare. In generale, non ho rimpianti: abbiamo davvero fatto il massimo. Devo dire, però, che la concomitanza tra aspetto organizzativo, rispetto al quale ho delegato molto, con quello produttivo dello spettacolo [Ernest e Celestine, ndr] ha, almeno in parte, condizionato il lavoro dal punto di vista artistico. Difficile dedicare a tutto lo stesso livello di energia e attenzione.
Tra i momenti belli, ecco, posso dire questo: al primo spettacolo in assoluto, Il grande viaggio, quando ho sentito la reazione di una platea piena, di bambini anche piccoli che rispondevano coinvolti dinanzi a un lavoro bello, tutt’altro che facile, quello mi ha molto emozionato.
Quanto è faticoso occuparsi di teatro avendo una vita professionale diversa?
Non si può. È talmente faticoso che, alla fine, tutto ruota intorno al teatro, assorbendo il resto della giornata: si dorme poco o nulla e ci si trova costretti a fare delle scelte. Parlo non solo per me, ma anche per le persone che contribuiscono moltissimo a tutto questo, in primis Tiziana Rinaldi, attrice della compagnia, ed Elisa D’Agostino, organizzatrice e responsabile della comunicazione.
Noi, da due anni a questa parte, abbiamo deciso di accantonare il lavoro che facevamo prima perché ne risentiva e non era più possibile conciliare tutto: l’organizzazione di un festival come il nostro è stato totalizzante. Devo dire che abbiamo avuto la fortuna di trovare collaboratori molto validi, due stagiste dell’Università di Pisa, siamo riusciti a svolgere un lavoro davvero molto elaborato, con un’equipe di persone che per molti mesi si è dedicata solo a questo.
La Cattiva Compagnia da molti anni lavora a più livelli in senso sia produttivo sia organizzativo: quando nasce l’interesse per il teatro ragazzi?
È stata Tiziana (Rinaldi, protagonista di Ernest e Celestine) la prima a interessarsene. L’idea di partecipare al bando è stata sostenuta da lei, che aveva in mente una cosa simile a quello che è il Giffoni per il cinema: un luogo dove poter convogliare i ragazzi. In futuro, parliamo di sogni, ci piacerebbe organizzare dei campus per poter ospitare dei ragazzi che vengano qua nel periodo del festival a vivere un’esperienza teatrale a trecentosessanta gradi.
E fu, appunto, Tiziana, qualche anno fa, ad avere l’idea di fare il primo spettacolo del genere, Il baule magico, composto da riletture di storie di Gianni Rodari. Poi ci siamo occupati di “teatro educazione” (o teatro sociale), quattro anni fa, quando Provincia di Lucca e Scuola della Pace ci commissionarono un lavoro sulla Shoah, Visita a Terezin, in cui abbiamo coinvolto attori non professionisti; si trattava di un allestimento ispirato a un episodio legato all’Olocausto.
Un’altra occasione è coincisa con il Lucca Comics: l’area Junior ci aveva concesso uno spazio in cui abbiamo realizzato degli spettacoli e lì abbiamo conosciuto Cristiana Traversa (la “narratrice” di Ernest e Celestine); da anni si occupava di teatro ragazzi e, così, abbiamo mescolato le esperienze.
Cosa manca a Lucca, dal punto di vista teatrale?
Degli spazi veramente idonei. Il teatro si può fare, e si fa, anche in garage, ma se devi confrontarti con realtà diverse, che hanno la possibilità di svolgere percorsi artistici avendo cura degli aspetti tecnici, la mancanza di strutture pesa eccome. Ti faccio un esempio: non credo che a Lucca possa nascere un grande ciclista su pista, perché qui non esiste un velodromo. Se ho bisogno di sperimentare ho bisogno degli alambicchi, altrimenti non sperimento. Cosa fare di fronte a una situazione tanto penalizzante? Non saprei: bisognerebbe che la comunità investisse nel creare nuovi spazi, riuscendo poi a metterli a disposizione.
Ci sono già idee per il Lucca Teatro Festival 2016? Cambierà il sottotitolo o resterà il riferimento pasoliniano?
Ritengo che non debba cambiare: innanzitutto, per una questione meramente affettiva, ma anche per un fatto di suggestione. Vorremmo mantenere il concorso per le scuole: attira molto ed è giusto che i ragazzi realizzino qualcosa, oltre a guardare. I temi cambieranno, ma il sottotitolo rimarrà.
Confermata pure la collocazione primaverile?
Credo di sì. Considerando lo scenario dei festival italiani e degli eventi che coinvolgono Lucca, ci è sembrata la migliore collocazione possibile. Le tempistiche di organizzazione sono obbligate, dobbiamo già da ora chiamare le compagnie, altrimenti rischiamo di non poter ospitare gli spettacoli che vorremmo. Parteciperemo ai festival più consolidati (Segnali a Milano, a Bari, I Teatri del Mondo a Porto Sant’Elpidio) per conoscere e farci conoscere: poi decideremo l’indirizzo artistico di concerto con il Teatro del Giglio.
Fondamentale sarà migliorare i rapporti con le scuole: sarà necessario formulare proposte già a partire da settembre, senza doversi affidare alla buona volontà del singolo insegnante appassionato. Deve passare il concetto che il teatro non è mero intrattenimento, ma una linfa vitale per qualsiasi evoluzione conoscitiva, sia per i ragazzi sia per gli adulti.
[Intervista realizzata con il contributo di Andrea Balestri]