Il 27 e 28 settembre 2015 il TRA (Teatro Rossi Aperto) di Pisa ha festeggiato il suo compleanno. Trattandosi di un’esperienza unica nella nostra regione, sono andato a trovare le persone che hanno riaperto questo storico spazio pisano per un’intervista. Così, seduto fuori dal teatro con Sandra Burchi, Flaminia Mannozzi, Vittorio Gargiuolo e Melanie Gliozzi (che non ne sono gli unici animatori), mi sono fatto raccontare questi primi tre anni di vita, dalla prima occupazione fino a oggi.
Avevo registrato tutto con il mio cellullare, ma un perfido aggiornamento di sistema non mi ha permesso di importare l’intervista sul PC. Eccomi quindi a fare un riassunto il più fedele possibile dell’incontro.
Per prima cosa ho chiesto chi sono i “genitori” del TRA e come è stato “concepito”.
Mi rispondono che il TRA è stato ideato un anno prima della nascita, da un’assemblea composta da teatranti e studenti. Un gruppo di persone che ha individuato, nella riapertura di questo teatro, l’occasione per smuovere la situazione culturale pisana. Poi, già dai primi giorni, si sono aggiunte altre persone. Inizialmente, la riapertura sarebbe dovuta durare solo tre giorni: un’azione dimostrativa. Poi, l’assemblea ha deciso di continuare, delineando fin dall’inizio un tratto essenziale del carattere del TRA: quello di attivare un processo aperto, da sviluppare pragmaticamente affrontando di volta in volta i problemi e le relative soluzioni proposte dai partecipanti. Il TRA è uno spazio disponibile a ospitare chi voglia prendersi cura del suo sviluppo e della sua crescita. Tutti gli artisti che passano dal teatro, infatti, lo fanno con uno spirito di coinvolgimento propositivo in dialogo con l’assemblea.
Io insisto: voglio sapere i nomi delle persone e dei gruppi che hanno iniziato e portato avanti l’apertura.
Mi rispondono «Assemblea del Teatro Rossi Aperto»: questo l’unico nome che mi viene fatto. Le persone che hanno partecipato, tutte con l’obiettivo di sviluppare una modalità diversa di fare teatro nella città, erano così tante che non è possibile fare dei nomi.
Chiedo: qual era il teatro “diverso” che mancava a Pisa e per il quale il TRA è nato?
Mi dicono che l’esperienza è nata nel periodo in cui era appena iniziata l’occupazione del Teatro Valle a Roma e, anche in altre città italiane, fiorivano realtà simili. Venne in mente, così, che anche a Pisa c’era un teatro vuoto e abbandonato, che poteva essere occupato. I promotori non erano solo teatranti: vero, c’erano Dario Focardi, Alessio Trillini, Daniela Scarpari (che ha portato l’esperienza dei Cantieri Meticci) e Flaminia Mannozzi. L’intenzione però era, ed è, principalmente politica. Provare a fare un’operazione diversa in uno spazio autogestito. Utilizzare lo spazio del teatro, dedicato all’immaginario, per sperimentare modalità alternative di attività politica. E il motore principale erano gli studenti, molti dei quali non sono più a Pisa perché la loro condizione li porta a non potersi fermare oltre il periodo degli studi.
E di cosa si è nutrito – chiedo – il piccolo TRA nei primi anni di vita?
«Di tanta polvere!» risponde Melanie, ridendo. «E ancora se ne mangia perchè la struttura è fatiscente e necessita di continui lavori».
Aggiunge Flaminia: «All’inizio ci siamo nutriti di tanta energia e dei continui eventi proposti da diversi artisti, tra cui Alessandro Benvenuti, Danio Manfredini, Leviedelfool e molti altri, oltre a gruppi pisani che avevano bisogno di uno spazio e che volevano condividere il proprio lavoro con la città. Ci siamo poi nutriti della consapevolezza acquistata nel tempo e che ci ha portato a scegliere con più attenzione gli artisti da ospitare. Infine, la torta con la quale festeggiamo questo nostro compleanno, è la “Chiamata alle Arti” che abbiamo lanciato la scorsa primavera. Abbiamo chiesto agli artisti di immaginare cosa avrebbero voluto realizzare al TRA, sempre in dialogo con la realtà dello spazio e con l’assemblea che lo gestisce. Abbiamo avuto un ottimo risultato di proposte, incontri e collaborazioni che ci permettono di continuare a nutrirci tenendo aperto il teatro».
Mi azzardo a domandare: ma chi sono i “nemici” del TRA? Esistono? E perché vogliono che finisca?
«Non abbiamo veri nemici – replica Sandra – anche perché uno spazio abbandonato come questo, all’incuria e ai piccioni, è una ferita tanto brutta che nessuno può dichiararsi contrario alla sua apertura. Abbiamo piuttosto avuto dei dialoghi difficili con le istituzioni, che pur non essendo “contro” il TRA sono lente nelle loro risposte e chiuse nei loro modelli organizzativi. In questi tre anni abbiamo visto succedersi tre assessori alla cultura e quattro sovrintendenti. Capisci che in queste condizioni è difficile sviluppare un dialogo costruttivo con i poteri politici che potrebbero far crescere ed evolvere il piccolo TRA. Comunque la cosa bella che ho notato è che da noi si vedono ogni volta facce nuove. E c’è molta curiosità e attenzione nei nostri confronti. Dimostrando che a Pisa c’è un’apertura che va oltre le solite cerchie cittadine».
Ma la mia curiosità è sapere se al TRA c’è un genere teatrale dominante, se si nota cioè la prevalenza di una tipologia teatrale. Mi rispondono che non c’è. La costante, semmai, è la disponibilità a mettersi in discussione, scendere a compromessi con lo spazio e a confrontarsi con l’assemblea. Cosa a cui non tutti sono abituati. Comunque al TRA sono passati anche artisti affermati e ognuno di loro ha lasciato un segno importante del proprio passaggio. Come ad esempio Cesar Brie, nel primo periodo di apertura, che ha sostenuto l’importanza di trasformare l’esperienza in qualcosa di stabile; e recentemente i Quotidiana.com che, alla fine del loro spettacolo, hanno augurato che non ci sia una “completa ristrutturazione” dello spazio che altrimenti perderebbe una buona parte del suo fascino e della sua peculiarità.
Certo è che al TRA vogliono trovare una formula di legalizzazione che permetta loro di ospitare le compagnie rispettando le regole base della burocrazia teatrale. Avere almeno un’agiblità parziale degli spazi gli permetterebbe di partecipare anche a bandi europei utili per incrementare la loro economia e superare i limiti dell’autosovvenzione. Ma allo stesso tempo sono impegnati nella ricerca di vie alternative, alla soffocante burocrazia, tutte da inventare con la fantasia, l’ostinazione e la collaborazione di esperti del settore con i quali sono già in contatto.
«Sarebbe bello – dice Sandra – se le generazioni che vogliono fare teatro, o occuparsi di cultura, potessero farlo immaginandosi una vita “normale” e non essere costretti, da tagli economici e pastoie burocratiche, a fare una scelta di vita così “estrema”. Perché oggi fare arte, occuparsi di cultura o fare ricerca pare che sia una scelta “estrema”. Anche laurearsi in lettere oggi sta diventando una scelta “rischiosa”. Nel nostro spazio vogliamo discutere di tutto questo. Per questo abbiamo organizzato anche incontri, dibattiti e presentazioni di libri».
A confortare l’attività del TRA sono i continui apprezzamenti degli artisti ospitati. Ma anche la conoscenza di altre esperienze europee nate dal basso e che sono riuscite a crescere e svilupparsi. Come quelle illustrate nel seguitissimo workshop tenuto da Jean-Guy Lecat, architetto e scenografo con Peter Brook, che ha dimostrato come il restauro del Teatro Rossi potrebbe essere fatto incorporando “l’estetica dell’abbandonato” ed eludendo le difficoltà, anche economiche, di un anacronistico ritorno agli stucchi settecenteschi.
Al TRA c’è anche un Laboratorio Teatrale Permanente condotto da Daniela Scarpari.
«Quando sono entrato in questo spazio – dice Vittorio – sono stato colpito dalla sua bellezza ma anche dal fatto che un posto abbandonato potesse ospitare un laboratorio teatrale. Per uno studente di 20 anni, come me, che viene da altre esperienze e che vorrebbe essere un “artista”, fare teatro, ma anche video e fotografia, in uno spazio recuperato come questo è un forte motivo di speranza. E’ davvero tanta roba».
Coscienti del fatto che cresceranno nella misura in cui riusciranno a dialogare con le istituzioni cittadine e non, adesso al TRA sono impegnati a organizzare le risposte giunte alla “Chiamata alle Arti”. Impegnati nell’elaborazione di nuove regole di partecipazione e organizzazione culturale mi ricordano che l’assemblea del martedì è aperta a chiunque voglia collaborare allo sviluppo di questa esperienza.
E così ci salutiamo con il classico e meritato Buon Compleanno!!