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Dialoghi sul FUS: la parola a Fabio Masi (Armunia)

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È passata qualche settimana dall’uscita della revisione dei regolamenti relativi al Fondo Unico per lo Spettacolo, con una radicale modificazione della geografia istituzionale del teatro italiano. Tra i primi a parlarne, Massimiliano Civica in una bella intervista alla testata Doppiozero, giustamente ripresa da molti poiché in grado di fornire un’interessante lettura dell’accaduto [nonostante non sia stata rilasciata a noi!, ndr]. Abbiamo quindi deciso di rilanciare il discorso (l’attualità è così fatta: qualche rilancio, altrettante condivisioni e poi, via, si tira avanti), ponendo alcune domande sul tema ad alcuni artisti, operatori e addetti ai lavori, per una serie di interviste in parallelo.

Adesso è la volta di Fabio Masi, co-direttore artistico assieme ad Angela Fumarola di Armunia Costa Ovest (Castiglioncello, Livorno), una delle più importanti realtà del teatro di ricerca toscano. Fabio ha seguito dall’interno la nascita di questo polo scenico e conosce molto bene l’evoluzione della politica culturale della nostra regione.

Chi è più grande in termini di struttura e di risorse finanziarie, avrà maggiori possibilità di sopravvivere […]. Come è noto, essere i più forti non significa essere i migliori

Secondo te da chi è ispirata la riforma? È il risultato dello scollamento tra la realtà della politica e quella del teatro o, piuttosto, ha un preciso scopo?
Fabio Masi, Angela Fumarola, ArmuniaNon so rispondere con precisione. Personalmente, penso che sia in linea con una certa direzione centralizzatrice e piramidale che sta emergendo con sempre maggiore forza in Italia. Centralizzazione che, in questo caso, avviene grazie alla creazione di molteplici “centri” (Teatri Nazionali, Centri di produzione, Teatri di Rilevante Interesse Culturale) i quali, per caratteristiche e funzioni, limitano, anziché ampliarla, la libertà creativa. Le risposte alle prossime domande chiariranno questo concetto.
L’altra direzione che mi pare evidente è la dimensione quantitativa. I dati sulla parte numerica (giornate lavorative, giornate recitative, numero dei posti delle sale, numero delle repliche…) rappresentano il 70% dei criteri di valutazione, mentre alla valutazione della qualità artistica rimane il 30%. In questo senso parlo di centralizzazione: chi è più grande in termini di struttura e di risorse avrà maggiori possibilità di sopravvivere, al di là della qualità della produzione e della programmazione. Come è noto, essere i più forti non significa essere i migliori. In questi anni, nel mondo del teatro si è detto spesso che la migliore progettazione qualitativa si è avuta nelle “periferie” rispetto ai grandi centri. Naturalmente non è stato e non è sempre vero, ma è indubbio che, almeno negli ultimi vent’anni, le cose migliori dal punto di vista della produzione artistica e dei criteri organizzativi in termini di diffusione, radicamento, intersezioni culturali, si è verificato meno nei Teatri Stabili, d’Innovazione o no, nei teatri di circuito, che in spazi piccoli o non canonicamente teatrali, dove si è riusciti a sviluppare una efficace politica delle residenze artistiche.
Nell’articolo 2 del decreto si parla di “riequilibrio territoriale” della domanda e dell’offerta. A parte il fatto che questi termini mi suonano non pienamente rispondenti all’ambito teatro (devo produrre e programmare ciò che la “gente” domanda? O devo fare un tipo di lavoro che crea una “domanda” di curiosità, di approfondimento, diversificata, che spesso non incontra il favore delle “masse”? In realtà una questione di assoluta centralità); ciò che con la “riforma” effettivamente avviene è tutt’altro che un riequilibrio; in realtà, si squilibra il sistema a favore dei più forti e ricchi.
Infine, un accenno al fatto che si parla di interazione tra spettacolo dal vivo e filiera culturale, educativa e turistica. Ecco, questo accenno al turismo, declinato in ambiti locali (regionali, municipali) rischia di generare una grande confusione, perché abbinato all’impianto quantitativo di cui sopra, fa perdere di vista la qualità di un progetto culturale e artistico che, tra l’altro, fa la differenza anche da un punto di vista dell’offerta (questa sì) turistica di qualità e ampliata all’intero anno. In poche parole, prima di tutto viene la qualità di un progetto e dei processi che da esso possono svilupparsi e da cui dipende il prestigio di un luogo (teatro, festival ecc). Non si fa teatro per il turismo.

Continueremo a portare avanti la nostra linea, il nostro progetto, la nostra idea di residenza artistica, continueremo a fare teatro (e danza), e non spettacolo

In Toscana, quali realtà saranno favorite dal nuovo assetto?
Castello Pasquini e TensostrutturaiIn Toscana, il Teatro Nazionale formato dalla coppia Pergola-Pontedera sarà certamente favorito, dal punto di vista dei contributi. Certo, gli viene chiesto molto.

Come cambierà il tuo modo di programmare o produrre? Credi anche tu di dover fare più spettacolo e meno teatro per avere i requisiti d’accesso ai finanziamenti?
Questa domanda tocca il problema su cui in parte mi sono dilungato nella prima risposta. Armunia è un centro di residenza artistica e titolare di un festival nazionale di teatro e danza. Sono due facce della stessa medaglia, ovvero del progetto che ha al centro il teatro e non lo spettacolo. Come direbbe Claudio Morganti, vogliamo trattenere e non intrattenere. Continueremo a fare teatro e tutto ciò che dal teatro può nascere in termini di intrecci e di smarginamento in altri campi della cultura. Nonostante tutto, spero che venga riconosciuto il valore, la qualità di un progetto e, sottolineo, dei processi che da esso nascono. Le Regioni, in questo senso, hanno molto da dire nella direzione del consolidamento di un impianto che salva e rilancia la qualità del teatro.
Per essere ancor più chiari: ad Armunia continueremo a portare avanti la nostra linea, il nostro progetto, la nostra idea di residenza artistica, continueremo a fare teatro (e danza), e non spettacolo.

Con la riforma, i direttori artistici di Teatri Nazionali o dei TRIC, qualora fossero registi, non potranno più produrre spettacoli presso gli spazi di cui hanno la guida: è giusto? Non è possibile che la norma venga aggirata, magari, collocando dei prestanome o innescando politiche di scambio?
Fumarola Masi ArmuniaMi rimetto alle considerazioni di Massimiliano Civica, che condivido in pieno. Aggiungo che, per rimediare a un problema risolvibile con una semplice postilla alle norme vigenti, si è creato un sistema in cui i direttori/registi dei Teatri Nazionali, per aggirare la nuova norma, cercheranno forse di convincere altri registi a lavorare con le loro compagnie e i loro attori, ed essendo coloro che avranno le maggiori disponibilità di risorse e maggior potere, non sarà semplice dire di no. Quindi si ritorna alle considerazioni secondo cui siamo di fronte a una diminuzione della libertà artistica e a una centralizzazione di poteri e risorse.

Facendo autocritica, Massimiliano Civica afferma: «Davanti poi a spettacoli oggettivamente brutti, ho detto che erano interessanti, perché i registi di quegli spettacoli erano anche i direttori di teatri in cui io volevo andare con le mie produzioni. Ho continuamente rinunciato al mio giudizio e alle mie convinzioni di artista perché bisogna saper stare al mondo». È capitato anche a te? Come uscire dall’impasse?
Ad Armunia fin dall’inizio la Direzione è sempre stata in mano a persone che non sono registi o attori, il sottoscritto e Angela Fumarola compresi. In generale, è una questione di etica e onestà personale: onestà anche nel dire quello che si pensa, con civiltà e rispetto, anche quando si vede uno spettacolo brutto.

Un teatro pubblico deve avere la capacità di promuovere il conflitto democratico delle idee e la diversità degli sguardi, promuovere la critica e l’approfondimento della complessità del mondo

Si può immaginare una attività teatrale, artistica, che possa esistere fuori dal meccanismo dei finanziamenti pubblici ed essere alternativa alla cultura dominante, testimoniando una possibile diversità dalla maggioranza? 
libero gruppo ArmuniaSi può immaginare, e si può e si deve praticare. I Festival e i Centri di Residenza artistica, in questa nuova realtà così asfissiante, possono assumersi la responsabilità politica e culturale di essere spazi e luoghi per il teatro. Non è e non sarà facile in un contesto nazionale come quello attuale e in contesti locali spesso animati da spinte turistico-populistiche. Eventi a raffica e stagioni teatrali imbalsamate schiacciano tutto. Penso che non sarà più sufficiente resistere, ma si renderà necessario contrattaccare, continuando a dimostrare che esiste una “diversità dalla maggioranza”. Se è vero come è vero che il teatro è un bene pubblico, un servizio pubblico, io continuo a difendere l’idea che deve essere finanziato prevalentemente da denaro pubblico proveniente dalla fiscalità generale, così come dovrebbe essere per la sanità, i trasporti, l’istruzione pubblica.
Perciò non voglio esistere “fuori dal meccanismo dei finanziamenti pubblici” come dite nella domanda, ma vorrei un meccanismo che possa premiare la qualità di un servizio pubblico, la sua capacità di “ampliare la coscienza civica e umana” come giustamente afferma Massimiliano Civica, richiamando i principi che sono stati all’origine del teatro pubblico. Un teatro pubblico deve avere la capacità di promuovere il conflitto democratico delle idee e la diversità degli sguardi, promuovere la critica e l’approfondimento della complessità del mondo. Oggi è più difficile, ma per questo dico che non basta resistere, altrimenti si perde il senso stesso del nostro lavoro.

Come dovrebbe essere, quindi, il paradigma di una buona riforma, per te?
L’attuale “riforma” è quasi totalmente incentrata su criteri meramente quantitativi, esemplificati (si fa per dire) dalle formule algoritmiche persino per i criteri di qualità. Quindi bisognerebbe ridimensionare questi criteri, ma ciò significherebbe rivedere tutto l’impianto del decreto e ripartire dalla funzione del teatro pubblico.

Castiglioncello, Castello Pasquini

Giacomo Verdehttp://www.verdegiac.org
Autista, facchino e trovaroba, sopravvive occupandosi di teatro, video e arti visive dal secolo scorso. Riflettere sperimentando ludicamente sulle mutazioni tecno-antropo-logiche in atto e creare connessioni tra i diversi generi artistici è la sua costante.

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