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Dialoghi sul FUS: la parola a Silvano Patacca (Teatro di Pisa)

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È passata qualche settimana dall’uscita della revisione dei regolamenti relativi al Fondo Unico per lo Spettacolo, con una radicale modificazione della geografia istituzionale del teatro italiano. Tra i primi a parlarne, Massimiliano Civica in una bella intervista alla testata Doppiozero, giustamente ripresa da molti poiché in grado di fornire un’interessante lettura dell’accaduto [nonostante non sia stata rilasciata a noi!, ndr]. Abbiamo quindi deciso di rilanciare il discorso (l’attualità è così fatta: qualche rilancio, altrettante condivisioni e poi, via, si tira avanti), ponendo alcune domande sul tema ad alcuni artisti, operatori e addetti ai lavori, per una serie di interviste in parallelo.

Dopo Roberto Castello Alessio Pizzech (qui la lista progressiva con tutte le interviste), è la volta di Silvano Patacca, che da anni lavora presso la Fondazione Teatro di Pisa, attualmente come direttore e responsabile della programmazione, nonchè come direttore artistico della danza.

Da chi è ispirata la riforma? È il risultato dello scollamento tra la realtà della politica e quella del teatro o, piuttosto, ha un preciso scopo?
Teatro Verdi PisaPrima di rispondere alla domanda, una premessa e una domanda a mia volta. Dopo una lunga attesa, durata anni, per  una legge quadro di riforma dello spettacolo dal vivo in Italia, alla vigilia dell’insediamento del Governo Monti, la commissione cultura della Camera dei Deputati aveva approvato all’unanimità, in sede referente, un disegno di legge di riordino dell’intero sistema. Dopo una lunga gestazione e vari confronti tra politici e rappresentanze di tutti gli “attori” (è il caso di dirlo) in campo, l’iter di approvazione era giunto al termine. La domanda è: perché all’indomani del giuramento questa legge non sia stata portata in Aula e lì votata velocemente all’unanimità come in Commissione? Misteri italiani! Quindi, l’allora ministro Bray approntò un decreto (portato a termine dal suo successore, l’attuale ministro Franceschini) alla cui messa in opera ha contribuito il direttore generale del Ministero (dal 2004) Salvatore Nastasi. Sicuramente la riforma ha uno scopo preciso, almeno in teoria: razionalizzare il sistema delle erogazioni dei contributi, cercando di rendere trasparente il criterio di assegnazione delle risorse pubbliche e di eliminare eventuali rendite di posizione che sono andate perpetuandosi da tempo.

In Toscana quali realtà saranno favorite dal nuovo assetto?
Tenuto conto che il comparto dei sette neonati Teatri Nazionali avrà una fetta di circa 14 milioni di euro, da raddoppiare con finanziamenti locali, mi sembra scontato rispondere che una di queste sarà, sicuramente, il nuovo Teatro della Toscana nato dall’ unione del di Pontedera Teatro con la Pergola di Firenze.

(…) dovendo optare tra due proposte, una di più elevata qualità artistica (…) e un’altra più debole, ma di sicuro maggior richiamo, saremo portati a scegliere la seconda

Come cambierà il tuo modo di programmare o produrre? Credi anche tu di dover fare più spettacolo e meno teatro per avere i requisiti di accesso ai finanziamenti?
Silvano Patacca 2Il modo, se non nella sostanza, cambierà intanto nella forma. Il nuovo decreto prevede un progetto artistico triennale, ovviamente senza la certezza delle risorse e senza sapere quali saranno le produzioni che circuiteranno nei prossimi anni. Speriamo che queste difficoltà iniziali siano dovute alla fase di transizione e che, successivamente, le cose procedano a regime.
È altrettanto ovvio che, vista la rilevanza del requisito della “quantità” (in termini di numero di spettatori, incassi, giornate lavorative ecc.), dovendo optare tra due proposte, una di più elevata qualità artistica, ma di minor appeal sul pubblico, e un’altra più debole, ma di sicuro maggior richiamo, saremo portati a scegliere la seconda.
Inoltre, la modalità di programmazione potrebbe essere condizionata da altri fattori. Partendo proprio dalla nostra realtà, con un Teatro Nazionale a pochi chilometri che tra Firenze e Pontedera può tranquillamente offrire a una compagnia 10 repliche, magari imponendo per contratto di non esibirsi nel raggio di 100 km: quella stessa compagnia non potrebbe certo essere programmata al Teatro di Pisa che, con le sue due sole repliche, non offrirebbe certo una valida alternativa. Quindi se, prima, nonostante le tre Fondazioni teatrali presenti in provincia [Pisa, Pontedera e Cascina, ossia Fondazione Sipario Toscana, n.d.r.], ci poteva essere un’offerta diversificata per genere e tipologia di spettacolo, adesso si rischia solo una concorrenza a detrimento dei soggetti meno forti.

Con la riforma, i direttore artistici di Teatri Nazionali o dei TRIC, qualora fossero  registi, non potranno più produrre spettacoli presso teatri di cui hanno la guida: è giusto? Non è possibile che la norma venga aggirata, magari, collocando dei prestanome o innescando politiche di scambio.
Trovo che questa sia una condizione giusta, perché ci sono molti esempi, nel passato, di figure artistiche alla guida di strutture teatrali che hanno dissestato i bilanci per produrre spettacoli privi poi di sbocchi sul mercato della circuitazione. Sulle politiche di scambio, non credo che potrà essere fatto peggio di quello che è stato realizzato finora, né penso che la norma verrà aggirata attraverso dei prestanome.

La domanda che mi rivolgo, da spettatore di fronte a uno spettacolo, è: «Potrebbe piacere al pubblico del mio teatro?»

Facendo autocritica, Massimiliano Civica afferma: «Davanti poi a spettacoli oggettivamente brutti, ho detto che erano interessanti, perché i registi di quegli spettacoli erano anche direttori di teatri in cui volevo andare con le mie produzioni. Ho continuamente rinunciato al mio giudizio e alle mie convinzioni di artista perché bisogna saper stare al mondo». È  capitato anche a te? Come uscire dall’impasse?
Sono entrato in teatro per concorso e ho sempre svolto il mio ruolo di organizzatore e programmatore con soddisfazione e appagamento. Non è un lavoro che vivo come ripiego né ho velleità artistiche frustrate. Non sono un attore, un regista o un drammaturgo mancato! Quello che faccio mi piace e, nei limiti del possibile, cerco di farlo al meglio. Al mio giudizio non ho mai rinunciato e, chi mi conosce nel mondo del teatro e – soprattutto – della danza, sa che, di uno spettacolo, dico sempre ciò che penso, naturalmente con il massimo rispetto per il lavoro e la fatica di un artista. Rispetto che, comunque, rimane anche se il risultato non mi convince. Piuttosto, la domanda che mi rivolgo, quando mi pongo come spettatore di fronte a uno spettacolo, è sempre: «Potrebbe piacere al pubblico del mio teatro?». Se la risposta è positiva, sorvolo sul fatto che non abbia convinto me.

Credo che il dovere primario di uno Stato sia garantire a tutti i suoi cittadini un’offerta culturale complessiva adeguata, così come l’istruzione o la sanità

Si può immaginare un’attività teatrale, artistica, che possa esistere fuori dal meccanismo dei finanziamenti pubblici ed essere alternativa alla cultura dominante, testimoniando una possibile diversità dalla maggioranza?
La domanda non mi è molto chiara. Io penso che il sostegno pubblico alle attività culturali e artistiche sia imprescindibile. Credo che il dovere primario di uno Stato sia garantire a tutti i suoi cittadini un’offerta culturale complessiva adeguata, così come l’istruzione o la sanità. Per questo motivo, le risorse necessarie dovrebbero essere ascritte agli “investimenti”, perché di questo si tratta, e non inserite nella “spesa corrente” del bilancio statale, dove uno stanziamento già di per sé irrisorio può essere soggetto a tagli variabili e continui. Sul dare per scontato che l’intervento pubblico comporti una limitazione della libertà e della creatività di un artista o un suo presunto asservimento al “potere”, a meno che io non abbia frainteso, non sono d’accordo.

Come dovrebbe essere, quindi, il paradigma di una buona riforma, per te?
Credo che sia condivisibile il giudizio che di questa riforma dà il critico Andrea Porcheddu: «Gli ingredienti erano più o meno esatti, la volontà condivisa, i passi sono stati tutti giusti, ma la maionese sta impazzando lo stesso. Alla fine questa riforma sembra non incidere sul sistema, come avrebbe voluto, e anzi pare stia creando ulteriori difficoltà… nella guerra tra poveri che sta diventando il teatro italiano, tutti sono contro tutti, senza esclusione di colpi».
Il primo obiettivo di una riforma dovrebbe essere quello di stanziare più risorse: certo, individuando meccanismi di verifica e controllo per evitare gli sprechi, ma cercando soprattutto di premiare le realtà virtuose piuttosto che  continuare a risanare bilanci soltanto perché alcuni godono del sostegno politico che altri non hanno.

Silvano Patacca 3

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.

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