Andrea Kaemmerle è un artista sempre altrove, in ogni sua concretizzazione estetica o professionale. È un clown con quarti di nobiltà dovuti all’apprendistato svolto in Europa orientale alla “corte” di un maestro quale Slava Polunin, ma è anche un attore di prosa, un validissimo interprete comico, un regista attento e peculiarmente vocato alla comicità di matrice boema e yiddish (ma non lo fa pesare come Moni Ovadia), è uno degli slavi finti più credibili (in realtà è toscanissimo) che si possano incontrare. Ed è anche un attento spettatore (ci scherza su, ma è di quelli che han studiato), un indefesso organizzatore teatrale, padre di una manifestazione ormai longeva e tuttora in espansione come Utopia del Buongusto, nonché responsabile, tramite l’associazione Guascone Teatro, delle stagioni del Teatro delle Sfide di Bientina e del Teatro Verdi di Casciana Terme.
Lo abbiamo visto e applaudito più volte (ecco due recensioni: Lisciami e Naturalmente zoppica un po’), scortato da compagni che ce lo hanno fatto apprezzare ancor prima di farne la diretta conoscenza, come il grande Carlo Monni, Andrea Cambi, altro incredibile e irregolare talentaccio purissimo delle nostre scene, e, in tempi più recenti, Riccardo Goretti. Lo incontra l’Arlecchino in versione biforcuta, con le fattezze di Andrea Balestri e Igor Vazzaz, a margine di una proiezione filmica in quel di Casciana Terme.
Innanzitutto, sette, anzi, nove domande.
Perché gli spettacoli iniziano alle nove di sera?
Per noi è falso, però. A Bientina e a Casciana Terme gli spettacoli che organizziamo come Guascone Teatro iniziano alle nove e mezza. Le nove sarebbe troppo presto. Se devo spiegare perché iniziano alle nove e trenta, dico che è l’orario migliore per aver mangiato qualcosa, la prima ora disponibile perché la gente sia disposta a uscire e prestare un po’ di tempo per concedere attenzione.
Cosa non dovrebbe essere ammesso in teatro?
Ossia cosa dovrebbe essere proibito… Direi gli attori privi di carisma. Al di là di quello che possono recitare o voler dire… Se non sei “bono” è meglio CHE tu faccia un altro mestiere.
Che opinione hai del pubblico teatrale?
E chi l’ha mai conosciuto? Dov’è finito?
Meglio una platea straripante abbonati o una cantina di pochi appassionati?
Meglio una platea che straripa… dai, su… la prima che hai detto.
È possibile fare teatro senza fare spettacolo?
Domanda da Claudio Morganti, che però sostiene l’opposto… È possibile fare teatro senza spettacolo… no, direi di no.
Che senso ha, per te, la critica teatrale?
Allevia la solitudine.
Che spettatore sei? Cosa dovrebbe fare un’opera?
Sono uno spettatore fantastico, perché mi piacciono anche le cose brutte: me ne accorgo dopo che non funzionano, lì per lì godo, piango, rido, mi commuovo. Sono lo spettatore preferito da chiunque. Poi, dopo, a casa, magari mi dico “Che schifezza…”, ma, di primo acchito, sono uno che “casca” dentro quello che vede. Uno spettacolo dovrebbe portarti un po’ più in là.
Un lavoro a cui hai assistito e che rivedresti anche stasera.
Beh, direi Slava Snow Show di Slava Polunin, al di là del titolo che cambia, ma lo spettacolo resta quello.
Il tuo lavoro che vorresti far vedere a tutti. E quello che avresti voluto evitare.
È un film porno, ma non so se si può dire… (ride) Direi che a tutti vorrei far vedere Balcanikaos, che comunque ha avuto, negli anni, parecchi, ma parecchi spettatori.
Quello che avrei voluto evitare… è roba veramente vecchia, ce n’è diversi. Direi così: di serate secche, tante, penso alla prima assoluta di Marinati ’43 coi Gatti Mezzi; ma, alla fine, gli spettacoli poi si aggiustano, migliorano. Credo, alla lunga, di aver “sistemato” tutti i lavori che ho fatto: magari hanno debuttato male, ma poi ci abbiamo rimesso mano, come si deve fare in teatro. Quindi vorrei aver evitato tante prime troppo prime che, magari, sarebbe stato meglio far slittare d’un paio di mesi; ma gli spettacoli, alla fine, li difendo tutti.
E adesso… tre risposte a cui formulare la domanda:
Non è una questione di pura e semplice contrapposizione, quanto, piuttosto, di individuare un’armonia funzionale al contesto dato.
Mi portate un prosecco?… la domanda giusta è: cosa bevi?
In effetti, la figura di Arlecchino, così densa di sfumature e implicazioni sia teatrali sia antropologiche, esprime alla perfezione la dualità del gesto di guardare ed essere osservati, il rapporto profondo e, talvolta, vischioso, tra lo stare in scena e il gettare lo sguardo a ciò che sta oltre.
La so… Perché preferiresti Arlecchino presidente del consiglio anziché Matteo Renzi?
Grazie per la domanda. Un nome secco? Emma Dante.
Tu ti dovessi reincarnare in qualcheduno, chi vorresti evitare?