Sette, anzi nove domande a

Marco Mannucci

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Io, che sono Arlecchino, non m’arrovello più di tanto sulle questioni di genere, inteso come tipologia d’espressione: amo (et odio, a seconda dei casi) attori, circensi, clown, performer, danzatori, registi. Talvolta, tutte queste figure si condensano in un solo soggetto, talaltra no. Non solo: dove mi chiamano, e v’è cortesia, accoglienza e persino amicizia, vo, a vedere, sbirciare, sguardare. È il caso di Tu me fais tourner la tête, spettacolo che Marco Mannucci (attore, acrobata, clown… insomma, tutte quelle robe là) sta realizzando, non senza fatica e coraggio, ispirandosi ad alcune opere del pittore Marc Chagall oltre ché a un celebre verso di una delle canzoni francesi che più preferisco (Mon manège à moi, scritta da Norbert Glanzberg su testo di Jean Constantin, resa celebre da Édith Piaf).
'Tu me fais tourner la tête', Mattatoio Sospeso, M. Mannucci 02Si tratta d’un lavoro dai toni graziosi e dolci, diremmo saint-exupériani se solo tale termine esistesse: l’incavo nero della scena diventa luogo d’incanto per un autentico teatrino semovente da cui compaiono e scompaiono disegni e figure in moto costante (la donzella rosavestita di Marina Romondia, Mannucci stesso, il suo “doppio” e contendente Camilo/Saverio Abate, il violinista Gabriele Savarese), per una giostra musicata che unisce una solida concezione teatrale alle evoluzioni acrobatiche dei performer librati in volo (roba consueta per Mannucci, fondatore di Mattatoio Sospeso). Si resta con una sensazione d’ariosa meraviglia, sorvolando (mai verbo fu più adatto) sulle considerazioni se si tratti di teatro ragazzi, per adulti (come se fosse un porno) o quant’altro: spettacolo è, nella sua concezione bella. Mannucci, peraltro, è giovane secondo i perversi parametri italiani, quasi francese d’adozione (inutile parlarne male: la Francia, su certe cose, ci dà le paghe senza sforzo), con un percorso artistico che unisce nomi quali Armando Punzo, Silvia e Luisa Pasello, Dario Marconcini, Federico Tiezzi, Oskaras Koršunovas; insomma, bella gente. E, sperando che una chiacchierata arlecchina possa giovare a lui e alla raccolta fondi per il suo spettacolo indipendente, ve lo presentiamo come possiamo, meglio che possiamo.

Innanzitutto, sette, anzi, nove domande. 

Perché gli spettacoli iniziano alle nove di sera?
Perché è “roba da grandi”. Ma se, invece, li facessero alle otto? Il pubblico a stomaco vuoto è meno probabile che si addormenti causa digestione oppure dipende da altri fattori. Vabbè, iniziano alle nove perché è bello arrivare a corsa in teatro per gustarsi lo spettacolo, oppure fare due chiacchere nel foyer con un bel bicchiere di vino.

Cosa non dovrebbe essere ammesso in teatro?
Di chiudere i palchetti vuoti per non farci entrare nessuno e, poi, che ancora suonino i cellulari.

Che opinione hai del pubblico teatrale?
Lo stimo; ti pare poco uscire di casa, subito dopocena, e sedersi in silenzio con altri sconosciuti per entrare in un’altra dimensione?

Meglio una platea straripante abbonati o una cantina di pochi appassionati?
Basta che la platea o la cantina o le gradinate o il cerchio in strada siamo al massimo della loro capienza. “Sentire” che gli spettatori sono davvero lì per te, e tu lì per tutti loro.

È possibile fare teatro senza fare spettacolo?
Marco Mannucci, 'La luna è azzurra' (2009) ph di F. Berninijpg
Claudio Morganti dice una bella cosa in proposito, mi pare: teatro è per pochi, delicato, intimo, spettacolo è per molti, è musica a tutto volume, effetti speciali. Allo stesso modo, è possibile fare circo senza strafare di virtuosismo.
Dipende un po’ da cosa chiamiamo “spettacolo” e cosa “teatro”. Uno spettacolo dovrebbe fondere tutti i linguaggi necessari allo svilluppo dello stesso al fine renderli irriconoscibili e farsi teatro. Come dire uscire da teatro senza poter raccontare lo spettacolo, come diceva un visionario. Come in strada chi fa solo virtuosismi magari di altissimo di livello ma egoticamente. Oggi spettacolo si fa per soldi. Spettacolo e teatro dovrebbero essere una cosa unica, un qualcosa che ti emoziona, ti tocca non una cosa da guardare passivamente.

Che senso ha, per te, la critica teatrale?
Presenti esclusi? Forse, dovrebbe trovare piccole chiavi di lettura per chi lo spettacolo lo fa (una specie di occhio esterno professionale, senza le frustrazioni da attori o registi mancati) con funzione maieutica, mettendo a frutto basi di cultura e storia teatrale assieme alla visione del panorama contemporaneo. Al tempo stesso, la critica, in maniera provocatoria, dovrebbe essere costituita da quel gruppo di persone che va a teatro, cioè dal pubblico. Purtroppo, il gruppo spesso si fa massa e allora essere a teatro o di fronte alla televisione fa lo stesso per mancanza di capacità critica…

Che spettatore sei? Cosa dovrebbe “fare” un’opera?
Appassionatissimo, pronto a vedere di tutto con la curiosità di un bambino. L’opera dovrebbe stupirmi, farmi sognare, riflettere, ridere, commuovermi, divertire. Se manca solo uno di questi aspetti… è un’operetta.

Un lavoro a cui hai assistito e che rivedresti anche stasera.
Marco Mannucci (ph. J. Boyer) 01
Uno solo? In ordine sparso, ma sono tanti: Know well di Armando Punzo, Miranda di Oskaras Korsunovas, Sonja di Alvin Hermanis, Clown in libertà di Teatro Necessario (e non perché ci lavoro: vedetelo”), SlavaSnowShow, Romanzo d’infanzia della Compagnia Abbondanza/Bertoni, Ubu Roi di Fortebraccio con la regia di Roberto Latini. Mi ci vorrebbero altri dieci questionazzi…

Il tuo lavoro che vorresti far vedere a tutti. E quello che avresti voluto evitare.
Vorrei e voglio far vedere a tutti lo spettacolo che è adesso in realizzazione, Tu me fais tourner la tete, ispirato alle opere con gli amanti in volo di Marc Chagall. Dico “vorrei” perché è un progetto indipendente che non riceve sovvenzioni e non so ancora se vedrà luce. Dopo una residenza al festival FossanoMirabilia (vitto, alloggio, viaggi garantiti, assistenza tecnica… cosa unica in Italia!) siamo stati a La Città del Teatro di Cascina, con una prova aperta il 30 aprile. Ed è per questo che ho affidato una parte dei costi di produzione alla piattaforma di crowfunding Crowdarts. In molti ci stanno sostenendo, sul sito di Crowdarts potrete scoprire di più: i nostri doni in cambio del vostro aiuto. Seguiteci su FB, guardate cosa facciamo e con tanti piccoli contributi potremo farcela. Mi sono allargato? Vorrei che questo lavoro tutti lo vedessero…
Per il resto, avrei voluto evitare alcuni lavori giovanili in cui ero attore senza esperienza alcuna e alcune cosìdette perfomance teatrali… molto “contemporanee”…

E adesso… tre risposte a cui formulare la domanda: 

Non è una questione di pura e semplice contrapposizione, quanto, piuttosto, di individuare un’armonia funzionale al contesto dato.
Circo o teatro? Teatro circo?

In effetti, la figura di Arlecchino, così densa di sfumature e implicazioni sia teatrali sia antropologiche, esprime alla perfezione la dualità del gesto di guardare ed essere osservati, il rapporto profondo e, talvolta, vischioso, tra lo stare in scena e il gettare lo sguardo a ciò che sta oltre.
Il teatro arriva dalla strada, dalle piazze, dalle arene. Se diciamo “strada”, pensiamo “artisti di strada”. Evitando i luoghi comuni (fricchettoni e quant’altro…) potremmo finalmente parlar, ricordare e fare una volta per tutte riferimento a Arlecchino? Potrebbe essere la chiave per?

Grazie per la domanda. Un nome secco? Emma Dante.
Chi è quella donna che ha per cognome il nome di un uomo? Una regista divenuta un pezzo di storia del teatro?

Marco Mannucci (ph. J. Boyer) 02

 

l'Arlecchino
È un semplicione balordo, un servitore furfante, sempre allegro. Ma guarda che cosa si nasconde dietro la maschera! Un mago potente, un incantatore, uno stregone. Di più: egli è il rappresentante delle forze infernali.

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