Una sala gremita, quella del teatro all’aperto della Versiliana, persone che si sono accaparrate alla modica cifra di 30€ le primissime poltrone per assistere alla tanto attesa prima nazionale di Caravaggio, di e con Vittorio Sgarbi.
È grande l’aspettativa che il pubblico ha di vedere il proprio beniamino, forse maggiore rispetto a quella per l’argomento annunciato. Lo si evince da quanto osservato in biglietteria, dove alcuni spettatori hanno protestato per un presunto errore nei biglietti, recanti il nome di Michelangelo Merisi anziché di Caravaggio. “Capre! Capre! Capre!” verrebbe da dire, citando il pupillo di cui sopra.
Sul fondale, un violino su un piedistallo, tre pannelli di diversa grandezza, che così posti possono ricordare alcune figure geometriche delle celebri composizioni di Piet Mondrian: su uno sono proiettati i quadri nella loro interezza, sugli altri due alcuni dettagli significativi. Sgarbi tiene una lezione monografica sulla vita e le opere di Caravaggio, passando dagli insuperabili studi di Roberto Longhi alle proprie ospitate televisive alla “corte” di Costanzo.
Dalla fanciullezza e esordi sino al termine della carriera del pittore, con interessanti confronti che spaziano da Pasolini ad Artemisia Gentileschi. Non mancano, peraltro, i paragoni col mondo della politica o dell’attualità, che il pubblico sembra apprezzare più dei commenti alle opere: per far comprendere il senso di un’errata attribuzione,il cultore della materia offre un paragone tra Rosy Bindi e Naomi Campbell.
Ogni tanto interviene Valentino Corvino, violinista e curatore delle musiche, con virtuosi intermezzi tra un capitolo e l’altro della narrazione. Quanto alla struttura della messinscena, è lo stesso Sgarbi a sottolineare le proprie mancanze: l’incapacità di attenersi ai termini temporali imposti (lo spettacolo supera le due ore e mezza, un’ora in più della durata prevista) nonché il mancato rispetto di un impianto registico comunque esistente (firmato da Angelo Generali). Inevitabile che questo apra interrogativi circa lo scopo di questo allestimento (e di quelli analoghi, assai diffusi in questi tempi e tutti, casualmente, organizzati dalla stessa produzione), se il teatro sia concepibile quale mezzo divulgativo (pensiamo a certe lezioni spettacolo di Dario Fo) o se non sia, semplicemente, un modo di sfruttare il nome celebre (di chi va in scena!) per fare cassa. Forse entrambe le cose.
Dal libretto di sala ci accorgiamo che il regista si è posto la stessa domanda, ossia: «Si può fare spettacolo della storia (e della critica) d’arte?». Il rischio, come poi è avvenuto, è quello di sfociare in una mera lezione accademica. L’unica differenza è quindi la location? L’esistenza di un biglietto? L’abbellimento di luci e violino? Può darsi e, a questo punto, non ci resta che… piangere. Si scherza.
Attendiamo, però, lezioni di cucina in teatro, con protagonisti i celebri chef televisivi, in cui il canovaccio sarà semplicemente la ricetta di una prelibata capra alla brace.