A prima (s)vista – Affissioni di propaganda teatrale. Selezione Giugno 2015

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Tutti gli spettacoli meriterebbero un manifesto – un’affiche, per fare i raffinati – che, pur rimanendo fisso, incollato a un pannello in doppia o quadrupla copia, riesca ad eccitare la fantasia del passante affaccendato, a incuriosire l’automobilista inchiodato al semaforo, a sorprendere il passeggero distratto sul filobus.
Non tutti ne hanno uno, ahimè, e gli spettacoli che hanno la fortuna d’essere reclamizzati per via di affissioni pubblicitarie ne hanno forse più svantaggi che benefici.
Io, che sono Arlecchino, sono vagabondo per natura. E quando passeggio, ciondolando tra le vie che si svuotano all’imbrunire, mi fermo a guardare i manifesti dei teatri. E giudico.

Hai voglia di girare per le vie della città in cerca di manifesti teatrali, a giugno vedi solo reclame enogastronomiche, musicali o cianfrusaglie nazional-popolari. Tuttavia, navigando navigando (virtualmente, s’intende; anche l’Arlecchino smanetta su Internet …), s’incontrano cose dell’altro mondo. Mi riferisco, per esempio, al manifesto della campagna abbonamenti del Teatro dell’Orologio, uno spazio off della capitale, meraviglia d’arguzia politicamente scorretta e di presa sull’attualità. Ma anche capolavoro di ingenuità (o di furbizia, giacché i due attributi sono spesso tanto vicini da sembrare congruenti). Difatti, a pochi giorni, anzi, a poche ore dalla sua diffusione in rete, il manifesto, che qui riproduciamo, è stato rimbalzato da decine di magazine e testate online (testate che altrimenti mai si sognerebbero di parlare di teatro, sia detto per inciso): scioccante, era l’aggettivo più ricorrente, di pessimo gusto, oppure ancora offensivo, agghiacciante.

teatroorologioQual è il concept? Il manifesto raffigura, sullo sfondo di una spiaggia infantilmente riprodotta – nuvolette, ombrelloni colorati e arcobaleno – il direttore artistico del teatro, Fabio Caselli, detto Morgan, nella posa di un condannato a morte dello Stato Islamico, detto Isis. Ovvero inginocchiato ai piedi di un carnefice in tenuta nera con il coltello brandito. Su una bandella arancione il claim: “sarà una stagione da perderci la testa” (e dunque: affrettatevi a sottoscrivere l’abbonamento …).

Giù offese e richieste di scuse (dagli allo sciacallo!).
Reazione giustificata? Non giudico.

Mi limito a osservare che quando un giornalista qualsiasi, maestro nel genere della pornografia del dolore, specula sui fatti più penosi dell’attualità al solo scopo di guadagnare visibilità (per sé e per la testata di appartenenza), sono in pochi a indignarsi: il cosiddetto “dovere di cronaca” è il lasciapassare per qualunque infame reportage.
E quando una redazione di presunti umoristi, vagamente xenofobi e poco divertenti, subisce un’efferata ritorsione, la società civile (??) si commuove e indossa magliette.

Ma quando un piccolo operatore culturale (poiché questo è il Caselli) si serve di un cliché della contemporaneità (sì, cliché: ciò che arriva con tanta forza e su così tanti canali di comunicazione non può che essere definito tale) per promuovere il proprio lavoro (si parla di teatro: cioè finzione, imitazione o cronaca del reale), bello o brutto che sia, l’unanime risposta è un’ipocrita repressione, che costringe l’ingenuo a fare marcia indietro, cospargendosi il capo di cenere.

Ma io, che sono Arlecchino, conosco la fame e la pietà, e sto con Fabio Caselli.

 

 

 

 

 

 

l'Arlecchino
È un semplicione balordo, un servitore furfante, sempre allegro. Ma guarda che cosa si nasconde dietro la maschera! Un mago potente, un incantatore, uno stregone. Di più: egli è il rappresentante delle forze infernali.

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