Tutti gli spettacoli meriterebbero un manifesto – un’affiche, per fare i raffinati – che, pur rimanendo fisso, incollato a un pannello in doppia o quadrupla copia, riesca ad eccitare la fantasia del passante affaccendato, a incuriosire l’automobilista inchiodato al semaforo, a sorprendere il passeggero distratto sul filobus.
Non tutti ne hanno uno, ahimè, e gli spettacoli che hanno la fortuna d’essere reclamizzati per via di affissioni pubblicitarie ne hanno forse più svantaggi che benefici.
Io, che sono Arlecchino, sono vagabondo per natura. E quando passeggio, ciondolando tra le vie che si svuotano all’imbrunire, mi fermo a guardare i manifesti dei teatri. E giudico.
Tra le licenze (ludiche, oltre che poetiche) che LSDA ama concedersi c’è quella di guarnire ogni sguardazzo con una metafora, introdotta dal più banale dei periodi ipotetici: se fosse … Una stupidaggine, sia pure, ma di quelle che allenano la mente a lavorar di fantasia, e a segare le grigie sbarre del buonsenso.
In queste settimane di magra, prima che l’inizio dei festival estivi segni il trionfo del pauperismo scenico, le pareti destinate alle pubbliche affissioni non strillano alcunché di teatrale; piuttosto concerti, sagre ed eventi del folclore. E allora, in ossequio alla mia indole balorda e ciarlatana, ho pensato di rovesciare il succitato gioco metaforico, e guardare a quei manifesti come fossero spettacoli teatrali.
Se si riferisse a uno spettacolo, il manifesto qui a fianco racconterebbe di certo con le sue immagini e i suoi colori la storia di una fruttivendola felice, come solo le belle fanciulle sanno essere. Avrebbe amici, una famiglia rigogliosa, eppure non le mancherebbero le pene d’amore (inequivocabili sono in tal senso i peperoni rossi e gialli che spuntano tra i cespi a far da chioma).
Nondimeno, se interpretiamo bene il senso di quel “cruelty-free” in calce su sfondo verde, il lieto fine è assicurato. Buon per lei.
Spettacolo di piazza, tre repliche garantite.
Sei sono, invece, le serate previste (a cavallo tra maggio e giugno) per l’evento reclamizzato dall’affiche qui a destra. Spettacolo sfizioso, in cui ciascuno può riconoscersi, e trarne beneficio secondo gusti e propensioni personali. Benché non immediatamente comprensibile sulla base del contenuto iconico, vi sarà una parte coreografica, coinvolgente crediamo, in specie per il pubblico più agée.
Trattasi anche in questo caso di spettacolo di piazza, ma è gradita la precisazione di una possibile location al coperto: l’estate invita a scoprirsi, ma un improvviso rovescio può guastare la serenità di un convivio.
La terza e ultima locandina strizza chiaramente l’occhio alle famiglie numerose, cui offre una peculiare proposta di teatro sperimentale di e per ragazzi. Suggestivo il titolo, cromaticamente d’impatto, e in cui vogliamo vedere un richiamo all’arte di Andy Wahrol e al suo studio-laboratorio (The Factory).
Hanno solida presenza scenica i tre protagonisti, in particolare quello in primo piano, con il quale il costumista (purtroppo non rammentato tra i crediti) mostra di avere un conto in sospeso.
Lunga tenitura per una performance sicuramente pop; e pazienza se storceranno la bocca i cultori del cantautorato engagé.