Tutti gli spettacoli meriterebbero un manifesto – un’affiche, per fare i raffinati – che, pur rimanendo fisso, incollato a un pannello in doppia o quadrupla copia, riesca ad eccitare la fantasia del passante affaccendato, a incuriosire l’automobilista inchiodato al semaforo, a sorprendere il passeggero distratto sul filobus.
Non tutti ne hanno uno, ahimè, e gli spettacoli che hanno la fortuna d’essere reclamizzati per via di affissioni pubblicitarie ne hanno forse più svantaggi che benefici.
Io, che sono Arlecchino, sono vagabondo per natura. E quando passeggio, ciondolando tra le vie che si svuotano all’imbrunire, mi fermo a guardare i manifesti dei teatri. E giudico.
Ci sono cose che raccontano il degrado dell’arte meglio di altre. Degrado, cioè mercificazione, riciclaggio di sé, necrofilia e obsolescenza programmata, illusione dell’immagine. Nella mia personale graduatoria, in uno dei primi posti inserisco i Bookshop dei musei.
Che cos’è un bookshop?
Un canale di commercializzazione utile a supportare la diffusione del patrimonio artistico del museo o altra istituzione culturale?
Oppure un rivendugliolo di paccottiglia e smercio di gadget marchiati, utile a sopperire la tragica mancanza di fantasia di chi cerca souvenir e idee regalo?
A voi la scelta. Io, che sono Arlecchino, non avrei mai pensato di dedicare un’intera puntata all’argomento.
Eppure non ho potuto farne a meno, dopo essermi imbattuto nella stupefacente rivendita del «merchandising ufficiale» di Vita di Galileo, lo spettacolo di Gabriele Lavia da poco presentato a Torino e Firenze [e da noi puntualmente recensito]. Nota bene: stupefacente non è la rivendita, bensì la dicitura «merchandising ufficiale»: esiste un merchandising non ufficiale di Vita di Galileo? Esiste al mondo qualcuno in grado di produrre gadget tarocchi brechtiani? Tutto è possibile; nel caso, segnalate all’Adiconsum o associazione analoga.
Ma passiamo in rassegna i prodotti venduti: prezzi modici, per tutte le tasche, anche quelle dei più piccini.
Si comincia con un elegantissimo taccuino con segnalibro e set di lapis di pura grafite. Prodotto dalle cartiere bavaresi, è un kit indispensabile per chi vuole prendere nota di tutte le cose che avrebbe potuto fare – e non ha fatto – nelle 4 ore e venti di spettacolo (si veda il relativo sdottorazzo)
Imperdibili e sbarazzine, le spille decorate di Vita di Galileo, tipicamente brechtiane, sono ideali da piantarsi nella coscia (ideali sono i muscoli della regione mediale, come il pettineo o il muscolo gracile), sotto la mandibola o in altri punti sensibili per risvegliare l’attenzione durante le 4 ore e venti di spettacolo.
Pezzo forte del «merchandising ufficiale», il raffinatissimo binocolo con lenti di precisione galileiana provenienti dagli stabilimenti di Termini Imerese. Venduto insieme all’astuccio in coordinato, è strumento assolutamente necessario a imprimere nella memoria il volto di chi ci ha voluto tanto male da tenerci incollati alla sedia per 4 ore e venti.
Irrinunciabile poi il set di righelli da 0 a 20 cm con decori e loghi originali di Vita di Galileo. Perfetti per misurare con esattezza scientifica la distanza coperta dalle palle durante le 4 ore e venti di spettacolo.
E per finire, un praticissimo shopper di stoffa color ecru, con stampa originale, dove raccogliere tutti i prodotti summenzionati e scaraventarli nel cesso con violenza inaudita.
«Scopo della scienza non è tanto quello di aprire la porta all’infinito sapere, quanto quello di porre una barriera all’infinita ignoranza».