Il teatro è arte contestuale, di arduo monitoraggio: richiede frequentazione prolungata, insindacabile passione, paziente memoria. E, comunque, pure la dotazione, in quantità ovviamente eccepibili, delle doti sopraelencate non salva da un’endemica ignoranza, talvolta crassa, talvolta perdonabile. Tale la sensazione al cospetto della mostra intitolata Sogno un teatro che dia coraggio, dedicata alla memoria del regista tedesco Peter Zadek, a Lucca, negli spazi del Palazzo delle Esposizioni della Banca del Monte di Lucca e del Teatro San Girolamo, inaugurata il 9 maggio e gratuitamente visitabile sino al 2 giugno.
La tavola rotonda tenutasi venerdì 15 maggio, in quella naturale appendice del Giglio che è il Teatro San Girolamo, ha dunque costituito una preziosa occasione per saperne di più. Alla presenza di Aldo Tarabella [a sinistra, con Leonetta Bentivoglio], direttore artistico dello spazio lucchese, si sono raccolte varie testimonianze dell’opera del regista, che aveva eletto i dintorni di Lucca (la frazione di Vecoli, per la precisione) a propria residenza estiva, buen retiro ove respirare, allontanarsi dallo stress e, spesso, ideare i progetti per le stagioni successive. Una presenza discreta, la sua, forte della peculiarità del teatro quale forma artigianale, aliena dal divismo su vasta scala di altre discipline più strettamente connesse alla dimensione mass-mediatica.
Zadek è stato uno dei più importanti direttori scenici del teatro tedesco del secondo Novecento: un percorso di oltre sessant’anni, impressosi con grande potenza in Germania e non solo, anticipando temi e orizzonti tuttora al centro delle riflessione europea, sfuggendo sempre qualsivoglia prospettiva dogmatica. A partire dal bel racconto di Barbara Villiger, critica teatrale del quotidiano Neue Zürcher Zeitung di Zurigo, sino alla serie di filmati proposti e commentati da Elisabeth Plessen, scrittrice, consorte e collaboratrice del regista, dalla testimonianza diretta di Leopoldina Pallotta Della Torre, scrittrice e giornalista, Dramaturg per Zadek in occasione della trasposizione scenica tedesca di Miracolo a Milano, sino all’intervento finale di Leonetta Bentivoglio [in alto a sinistra con Tarabella], abbiamo assistito a una minuziosa, paziente tessitura d’un puntuale reticolo di riferimenti a inquadrare la figura del regista berlinese in chiave sia germanica sia europea. Il tutto, coronato dall’esibizione del cantastorie Mauro Chechi [in basso a sinistra], grossetano, esponente di lungo corso nell’ambito della musica popolare toscana, anch’egli coinvolto da Zadek in occasione del già citato allestimento ispirato all’omonimo film di Vittorio De Sica.
Da tale, ricca, pluralità di voci se ne ricava l’idea di un artista autenticamente moderno ed esteticamente laico: nato a Berlino nel 1926 (stesso mese e anno di Dario Fo), cresciuto in Inghilterra negli anni Trenta-Quaranta, dove la famiglia ripara per sfuggire alle persecuzioni naziste, la formazione anglosassone (a Oxford e poi all’Old Vic di Londra) gli conferisce una peculiare visione della scena, unitamente a un viscerale amore per quel William Shakespeare che più volte frequenterà (oltre venti allestimenti) nel corso della propria carriera. Zadek è stato autentico «cittadino del teatro», efficace immagine di Villiger, «molto tedesco, poco germanico», l’altrettanto esatta descrizione di Bentivoglio. Il suo interesse principale si è rivolto alla realizzazione di spettacoli “vivi”, al di là delle mere valutazioni etiche o estetiche, nel tentativo di imprimersi nella memoria, emotiva e intellettuale, dello spettatore.
Originale, sfacciato, eppure rigoroso, il lavoro zadekiano si è abbeverato direttamente alla fonte inesauribile delle teorie di Edward Gordon Craig (ritratto qui a destra; i due hanno tenuto un interessante carteggio), nonché da una predisposizione naturale a relazionarsi con gli attori in modo assolutamente innovativo, riuscendo a tessere collaborazioni proficue, a partire da quella con Bruno Ganz, durante il periodo trascorso a Brema, suo secondo approdo tedesco, dopo il ritorno a Ulm. Quegli anni (dal 1958 e per tutti i Sessanta) sono ricordati per il Bremer Stil, lo stile di Brema, ondata rigeneratrice per la scena teutonica grazie alla messinscena di testi classici filtrati attraverso uno sguardo intimamente rinnovato.
È un momento intenso, pulsante per il teatro contemporaneo internazionale e non solo, continuamente sollecitata da autentiche scosse sul piano operativo ed estetico. Si pensi alla progressiva affermazione del Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina, la compiuta consacrazione del Teatro dell’Assurdo, l’ascesa inarrestabile di Peter Brook, l’emergere della neoavanguardia italiana e l’elenco potrebbe proseguire. A pieno titolo, le figure di Zadek e Peter Stein [a sinistra]concorrono a mutare nel profondo il teatro della Repubblica Federale Tedesca, mediante visioni pur differenti di come la scena debba essere interpretata, vissuta, abitata. Attraverso l’operato di questa, appena accennata, eterogenea supernova di personalità artistiche si tracciano i profili di rinnovate concezioni sceniche, in grado di irradiarsi e propagare il proprio raggio d’azione sino ai giorni nostri.
La forza dirompente dell’ironia (usiamo il termine in senso assolutamente lato) che Zadek applica ai propri lavori non accenna minimamente a declinare col passare degli anni. È celebre la polemica relativa a una versione di Il mercante di Venezia (1988, ma il primo confronto del regista con la vicenda di Shylok risale al 1961, con la scenografia di Wilfried Minsk di cui riproduciamo un dettaglio a destra), per cui il regista viene accusato di antisemitismo (l’azione scespiriana è ambientata dinanzi all’ingresso di una banca), nonostante la risaputa ascendenza ebraica. La replica, senza appello: «Fino a quando i tedeschi non parleranno apertamente degli aspetti negativi degli ebrei, non inizieranno a fare i conti con il loro antisemitismo».
Zadek, in modo del tutto personale e fondamentale, è stato il fautore di un teatro diverso, provocatorio, libero e liberato dalle retoriche precedenti, in grado di formulare soluzioni e concetti che, adesso, possono dirsi acquisiti, ma che, all’epoca, sono stati assolutamente dirompenti. Da «un’estetica di matrice illustrativa», racconta ancora Leonetta Bentivoglio, ha saputo condurre il teatro, tedesco ed europeo, su strade meno convenzionali, verso «una forma vitale, possente ed energica della scena». Tra le ulteriori matrici che ci sentiamo di rimarcare, il peculiare rapporto con lo stile, ritenuto approdo mortifero, pericolosissimo, per un artista: «Quando la gente pensa di riconoscere uno stile in me, io mi chiedo dove abbia sbagliato», assunto per niente banale, a rimarcare un problema che l’arte novecentesca si è più volte trovata ad affrontare, pensiamo a certe riflessioni dell’Italo Calvino sia narratore sia saggista.
Per chi volesse davvero saperne di più su Peter Zadek e la sua opera, due consigli: visitare la mostra di cui sopra (Sogno un teatro che dia coraggio, Lucca, Palazzo delle Esposizioni della Banca del Monte di Lucca e Teatro San Girolamo, sino al 2 giugno, ingresso gratuito) e procurarsi Peter Zadek e i suoi scenografi (a cura di Elisabeth Plessen, Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, 2015), versione italiana del libro Peter Zadek und seine Bühnenbildner (Berlin, Akademie der Künste, 2012). Si tratta di un bel volume, assai ricco di contributi grafici e interviste a proposito dei vari scenografi (spesso anche costumisti) con cui Zadek ha collaborato nella sua lunga carriera. Il percorso zadekiano è quindi ricostruito alla luce delle parole dei suoi collaboratori più vicini (Wilfried Minks, Götz Loepelmann, Daniel Spoerri, Peter Pabst, Horst Sagert, Johannes Grützke, Rouben Ter-Arutunian, Karl Kneidl, André Diot) per un viaggio affascinante alla scopera di un artista assolutamente da conoscere.
Vi lasciamo, quindi, con l’indice del libro.
Elisabeth Plessen: Sempre in viaggio su altre sponde
WILFRIED MINKS (I) – Intervista
GÖTZ LOEPELMANN – Intervista
DANIEL SPOERRI – Intervista
PETER PABST (I) – Intervista
HORST SAGERT – Intervista ad Anna Badoni
JOHANNES GRÜTZKE – Intervista a Peter Pabst – Johannes Grützke: Scenografia – Lo stile sbilenco! Perché?
ROUBEN TER-ARUTUNIAN
PETER PABST (II) – Intervista
WILFRIED MINKS (II) – Intervista
KARL KNEIDL – Karl Kneidl: il mio primo incontro con Peter Zadek
ANDRÉ DIOT E LE LUCI – Peter Zadek alla Old Vic School – André Diot: Lavorare con Peter Zadek – Susanne Auffermann: Vedere la luce
ALLESTIMENTI MULTIPLI DELLO STESSO TESTO
Hermann Bell: Il palcoscenico è un luogo magico
APPENDICE – Stephan Dorschel: L’archivio Peter Zadek – Biografie – Lavori teatrali – Film e televisione – Pubblicazioni – Indice dei nomi