Io, che sono Arlecchino, mi aggiro per teatri e, sovente, vengo colto da un pressante bisogno, una vocazione sovraumana cui nessuno (persona o artista che sia) può resistere. È vero che le platee, con la varietà di forme e decorazioni, sono suggestive; è vero che i ridotti hanno sempre una loro intoccabile eleganza; com’è pur altrettanto vero che nei foyer si possono ammirare virtuosismi architettonici degni di nota. Ma io, che sono Arlecchino, amo i bagni, un po’ perché sede di grandi soddisfazioni, un po’ perché luogo in cui rifugiarsi per sottrarsi agli oneri della vita sociale (o, più spesso, perché braccati dai detrattori).
Milano, Teatro alla Scala
Tempio della lirica. Teatro più famoso del mondo. La prima più ambita e chiacchierata. La Scala è tutto questo e, forse, anche di più, tanto che a volte ci si dimentica che la splendida sala del Piermarini è dotata anche di luoghi dedicati alle più volgari funzionalità del corpo umano. Si apprezza, innanzitutto, la scelta (con un non indifferente portato politico) di disseminare molte piccole ritirate, piuttosto che concentrare in pochi bagni i bisogni di quasi tremila spettatori. L’eleganza sta sempre nel dettaglio, e in quel di Milano lo sanno bene: se piastrelle e sanitari sono quasi anonimi, all’occhio più attento non sfugge il logo del teatro impresso sul portasapone e sui dispensari di carta, talmente lucidi da rendere poco fotogenica consimile raffinatezza. Lo stesso disegno è impresso pure sullo specchio che sovrasta un lavabo mimetizzato con il muro. Una vera delusione la carta per le mani, ancora nell’imballo originale, abbandonata sul piano di marmo, come in un bagno chimico della Sagra della Fettunta.
Venezia, Teatro La Fenice
I colori del bagno del restaurato Teatro La Fenice sono simili a quelli già osservati alla Scala, ma, in questo caso, le piastrelle non sono marmoree, bensì in ceramica, nonché posate in modo poco accurato. Tale triste monocromia sembra voler offrire una tregua all’occhio sazio della coloratissima sala: non più stucchi, velluti e affreschi, ma un’oasi di banalità in cui rifugiarsi. Sanitari anonimi come il contesto che li ospita: a tratti sembrano voler azzardare una forma quadrata, ma poi vi rinunciano. Becco sporgente per gli orinatoi, benché le tubature a vista li privino del loro fascino. Le dimensioni del disimpegno, inoltre, sono molto ridotte: toeletta deludente, in definitiva.
Firenze, Teatro dell’Opera/Maggio Musicale
Anche se inaugurato nel 2011, il Teatro dell’Opera di Firenze è di diritto uno dei grandi teatri lirici in Italia: il melodramma nacque proprio nella città gigliata il 6 novembre 1600. Forte della recente costruzione, il teatro può vantare un bagno spazioso, sofisticato nelle linee e audace nelle forme. Porte a vetro danno accesso a una mezza dozzina cubicoli: la semitrasparenza della superficie induce molti a lasciare aperto l’uscio. Lavabi ancor più stilosi dei water closet: i rubinetti esaltano l’essenzialità, una caratteristica non più sinonimo di anonimia, anzi. Il bagno è memorabile, rivestito in pietra grigia come l’esterno della torre scenica (vuota) che si staglia sullo skyline fiorentino. Val la pena menzionare anche i segnali per gli spettatori: quando sta per cominciare l’opera, il pubblico è richiamato con celebri strombazzate operistiche, come quella che accompagna l’ingresso di Dulcamara in L’elisir d’amore. Il rischio, per questo bagno come quelli dal design più audace, è quello dell’invecchiamento veloce: probabilmente entro una decade ci ritroveremo a fare i nostri bisogni in un ambiente fuori moda.
Anche questa è fatta, come dice un proverbio quanto mai affine alla presente rubrichetta, al cui proposito vorremmo rivolgere una richiesta a voi lettori: andate a teatro e… andate al bagno. Nel senso: recatevi a teatro e fotografate i bagni, segnalateceli: noi, sostenitori del solenne principio #recensiamotutto, provvederemo a parlarne. In attesa di creare l’apposita casella di posta (lo faremo, contateci), potete scrivere all’indirizzo arlecchino@losguardodiarlecchino.it.