L’avviso del critico e la dittatura del numero: un pubblico carteggio

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Qualche settimana fa, il quotidiano online “La Gazzetta di Lucca“, testata che vede in qualità di collaboratori alcuni arlecchini tra cui il nostro Igor Vazzaz, a margine di una recensione di quest’ultimo a proposito dello spettacolo Tradimenti, è stato teatro di una peculiare polemica a proposito della critica teatrale, delle sue funzioni e dei rapporti (reali, possibili, plausibili) tra operatori ed enti del settore. Daniele Stortoni, esponente di Fondazione Toscana Spettacolo, ha pensato di inviare una lettera al giornale chiedendo di rettificare alcune informazioni, a suo dire non corrette, presenti nell’articolo, aggiungendo alcune considerazioni all’indirizzo del suo autore. Quest’ultimo si è visto costretto, quindi, a rispondere in modo disteso.
Riportiamo i due testi in questione.

La lettera di Stortoni:

“A Igor Vazzaz non piace la programmazione del Giglio, al pubblico, però, sì”

Gentile Aldo Grandi,
lo scorso 24 gennaio è stato pubblicato sul giornale da lei diretto un articolo dal titolo Spaghetti a colazione per Ambra, del vostro collaboratore Igor Vazzaz, nel quale si fa riferimento al ruolo di Fondazione Toscana Spettacolo per la programmazione del Teatro del Giglio in maniera totalmente erronea. Fondazione Toscana Spettacolo onlus è il circuito multidisciplinare regionale che, di concerto con le amministrazioni comunali e/o con le associazioni di gestione dei teatri, programma stagioni teatrali e iniziative culturali condividendo tutti gli aspetti del rapporto, da quello artistico a quello economico, senza alcuna prevaricazione.

Immagino comprenda bene come questo sarebbe impossibile visto che sono le amministrazioni e o le associazioni a confrontarsi in prima persona con i territori. Quindi la prego di rettificare l’affermazione contenuta nell’articolo: “Appaltare in toto il cartellone a Fondazione Toscana Spettacolo subendone quasi in toto le decisioni, al di là della questione economica che, pur serissima, non può certo diventare il mantra con cui far passare qualsiasi misura intrapresa” perché non corrisponde al vero.

Sarebbe bastato che il signor Vazzaz avesse chiamato gli uffici di Fondazione o quelli dell’azienda del Teatro del Giglio per avere l’esatta descrizione del rapporto fra le due istituzioni rispetto alla programmazione della stagione teatrale 2015/2016, che evidentemente non è apprezzata dal signor Vazzaz.

Il pubblico del Teatro, invece, sembra avere apprezzato la proposta, dal momento che la campagna abbonamenti ha registrato un incremento di circa cento presenze e tutti gli spettacoli raggiungono “l’esaurito” o quasi. Inoltre teniamo a precisare che Fondazione Toscana Spettacolo onlus promuove e distribuisce, oltre al Pinter di Ambra e Michele Placido, anche (ad esempio) quello di Dario Marconcini: sono due tipologie diverse di spettacolo che hanno necessità di essere proposte in spazi diversi, proprio per valorizzarne le peculiarità. È per questo che programmiamo Tradimenti al Giglio di Lucca e i Memory plays al Teatro Sant’Andrea di Pisa, uno è un teatro da oltre settecento posti, l’altro da novantanove; insieme rappresentano la varietà delle proposte, le diverse tipologie e sensibilità dei pubblici.

La bellezza della pluralità dell’offerta culturale. Ci dispiace questa approssimazione proprio da parte del signor Vazzaz in quanto risulta nostro collaboratore da diversi anni, regolarmente retribuito per alcune attività laboratoriali con gli studenti delle superiori e dell’università e che quindi dovrebbe avere, ma evidentemente così non è, diretta conoscenza delle nostre modalità di lavoro che, almeno fino ad adesso, sembrerebbe aver apprezzato e condiviso.

La risposta di Vazzaz:

Il lavoro culturale e la dittatura della quantità

Caro Aldo,
mi trovo nella peculiarissima condizione di dover rispondere alla lettera in cui Daniele Stortoni, responsabile della formazione e navigato collaboratore di Fondazione Toscana Spettacolo, mi cita a causa di quanto ho scritto nella recensione allo spettacolo Tradimenti. Specifico che la collaborazione tra me e questa Gazzetta perdura da oltre quattro anni ed è il frutto, per ciò che concerne la cronaca teatrale, d’un attento monitoraggio circa l’attività scenica non solo del Teatro del Giglio, ma di un’area estesa a tutta la provincia di Lucca, monitoraggio che integro e completo grazie alla rivista online lo sguardo di Arlecchino, fondata circa un anno fa assieme a una serie di colleghi, allievi e amici.

Conosco personalmente Stortoni, che stimo non poco e del cui attacco personale mi sorprendo assai, specie per il tono adottato: gli risparmio le sguerguenze circa l’uso della forma “signor” a me riservate nella sua, per giunger lesto al dunque, ossia la “richiesta di rettifica” che, mi si perdoni la libertà d’interpretazione, non è certo il cuore della missiva giunta in redazione, e giustamente resa pubblica.

Sui modi e sistemi di programmazione del Teatro del Giglio, sicuramente ha ragione Stortoni: ma un filo di giornalistica semplificazione, per un pezzo che mira a dar conto in maniera più puntuale possibile d’uno spettacolo, direi che possa essere sostenibile. La prosa del cartellone lucchese è frutto di un confronto tra Fondazione e teatro? Certo che sì, benché, in base a ciò che si dice, i rapporti tra i due soggetti non sarebbero paritari come accade altrove. Lo stesso Aldo Tarabella, direttore artistico, ha dichiarato che i contributi a disposizione del Giglio vanno totalmente all’attività lirica e, dunque, sulla prosa, il teatro abbia un limitato margine di scelta/contrattazione: magari ho inteso male; in tal caso, tante scuse, figuriamoci. Se qualcuno vuol spiegare il funzionamento di questi rapporti, bene, ma dubito che la cosa interessi più di tanto chi segga in platea, così come chi ci legga.

Il tasto dolente, enfatizzato dal titolo che tu, Aldo, hai scelto secondo il riconoscibile stile gazzettiano, mi pare consti nel giudizio negativo da me espresso sulla programmazione di quest’anno: al quarto spettacolo poco convincente (ecco le relative recensioni: Qualcuno volò sul nido del cuculo¸ Il grande dittatore, La scuola, nonché il già citato pezzo su Tradimenti), ignorare la tendenza mi pareva difficile e, come d’abitudine, m’è sembrato opportuno avanzare un ragionamento complessivo. Lo faccio da anni. Non “contro” chicchessia; semplicmente, rilevo una certa natura ondivaga per come, dall’esterno, si percepisce l’attività d’una struttura importante come il Giglio.
Non è ignota a chi ci legge la costanza con cui, su questi e altri schermi, si dà vita a un ininterrotto e appassionato presidio circa l’attività scenica del nostro teatro, spazio che amo e per il quale spererei sempre il meglio. È il mio “mestiere”, per così dire. Ma ciò, evidentemente, non è importante o, da Firenze, non si scorge: son troppo lontani.

È, invero, poco, pochissimo elegante, nonché temerario, però, confonder la critica teatrale con l’opinione personale, accampando un confronto muscolare, e in sé violento nonché volgare oltre i limiti dell’accettabile, tra l’avviso del cronista scenico e il plauso del pubblico: roba, non è certo il caso di Stortoni (sarebbe interessante conoscere la sua verace opinione sui titoli citati, ma dubito che abbia visti gli allestimenti o che avrebbe convenienza a rispondere), degna di ben altre prospettive, che fanno valere il numero sullo sguardo, secondo un sistema di pensiero che induce a credere come vent’anni di berlusconismo spinto non siano passati senza lasciar traccia, anche negli ambiti più insospettabili, coi loro piccoli e grandi vizi. Come quello per cui, dinanzi a un giudizio negativo, si mette sotto accusa chi lo formula e non si ragiona nel merito (questo è uno dei motivi profondi, invece, per cui svolgo laboratori di critica!)  o, come fa Stortoni, buttarla sul venale, caduta stilistica che dovrebbe certo imbarazzare; non il sottoscritto.

V’è, a mio avviso, una sostanziale differenza tra essere pagati ed essere comprati: a qualcuno, evidentemente, il distinguo sfugge. Questione di sensibilità. Ho più volte resa palese, anche su queste pagine (secondo paragrafo, righe 8-10), la mia saltuaria, pluriennale e felicissima collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo, mediante iniziative svolte pure gratuitamente (anche questo dev’esser sfuggito, che strano); cito Verso Troia, massiccio lavoro sia cartaceo sia web a margine del ritorno in scena di Iliade del Teatro Del Carretto, nel 2013, ma potrei aggiungere come la totalità delle collaborazioni da cronista scenico (non solo del sottoscritto) si svolgano in pratica a titolo gratuito, grazie all’amore per il teatro e per la circolazione delle idee. Cose che non tutti, è evidente, sono in grado di riconoscere o apprezzare.

Perché, dunque, “rinfacciarmi” il rapporto economico? E, soprattutto, se il “problema” del mio articolo fosse stato solo il passaggio circa i rapporti tra Giglio e FTS, che bisogno mai ci sarebbe stato di tirare in ballo le mie competenze e la mia relazione professionale (ripeto: mai celata) con Fondazione Toscana Spettacolo?
Il fatto che io collabori con FTS (la quale ha evidentemente un buon giudizio del mio operato, giacché mi ha rinnovati, sinora, gli incarichi) e, ciononostante, nelle mie vesti di cronista, avanzi delle critiche, dovrebbe essere un segno di trasparenza e di sana dialettica democratica. Dovrebbe aprire un dibattito nel merito: una persona che da anni lavora anche per FTS (quindi si suppone non sprovveduta) rileva criticità rispetto a spettacoli che ha visti e analizzati. Macché: si risolve insinuando la mia ignoranza e irriconoscenza. Che classe: complimenti.
Quanto scrivo, piaccia o non piaccia a Stortoni, dovrebbe esser preso nella sua cristallina autenticità, come la visione (e non l’opinione) di un critico, che ha l’obbligo, per forza, di prescindere dall’avviso del pubblico. Talvolta vi può concordare, talaltra no: non è importante. Conta l’analisi, non il giudizio. I pochi che mi leggono, sanno bene che, come critico, non sono affatto snob, vado davvero a vedere gli spettacoli, e non “parteggio” per un genere, per uno stile, per una moda. Non suono il piffero per nessuno, né per FTS né per la Gazzetta, e questo glielo potresti spiegar bene anche tu, Aldo. So benissimo (e lo insegno!) che i gusti personali non interessano (né dovrebbero interessare) a nessuno: il lavoro implicito a una recensione è antipodico all’esondazione d’una mera opzione di gusto; ed è alquanto curioso che ciò non sia arcinoto a chi opera da anni nell’ambito dell’organizzazione culturale.

Allo stesso modo, impressiona leggere che gli spettacoli di Dario Marconcini (citato, dinanzi un Pinter deboluccio, quale uno dei migliori interpreti italiani del drammaturgo inglese; peraltro lavora a Buti, vicino a Lucca) non siano “degni” d’un teatro come il Giglio. Chissà se Marconcini o il pubblico lucchese concordano. M’impressiona, però, che una prospettiva simile venga data come lapalissiana, senza che chi la formula venga lontanamente lambito dal dubbio che proprio questo possa essere uno degli autentici, gravissimi problemi del teatro italiano; senza nemmeno notare come la stessa frase non suoni pure quale insulto per il pubblico lucchese, capace a comprendere solo cose “semplici”. (Stortoni dunque converge sul mio giudizio circa Tradimenti: non diteglielo, se n’avrebbe a male).

Gli abbonamenti aumentano? Bene, bravi, bis. Ma il giudizio dell’utenza, preso in sé e per sé, avulso da valutazioni qualitative, è roba da social network, da uffici marketing, da auditel. Se la si pensa così, anziché recensioni, si pubblichino direttamente i dati d’affluenza: si fa prima. E, se contano tanto i numeri, di cosa ci s’inquieta a FTS, al punto da insister tanto con la Gazzetta per far pubblicare quella che è un’aggressione diretta e personale? D’un critico di provincia che non concorda? Suvvia Stortoni, un critico “sposta” meno di niente, è solo una voce, senza neppure uno straccio di potere. Festeggiate pure in letizia la messe d’abbonamenti e fatevi gran vanto per le magnifiche sorti e progressive del teatro italiano. Celebrate garruli la dittatura della quantità sulla qualità. Avviene così anche per i tagli al settore sanitario, o alla scuola. Per me, tutto questo costituisce comunque il sintomo d’una metastasi esiziale del lavoro che dovrebbe aver a che fare con la cultura, ma tant’è: io son solo un critico, razza solitaria usa a sedersi dalla parte del torto.

 Con questo chiudo, rubando ancora qualche riga per commentare un ultimo passaggio dell’epistola che (troppa grazia, Sant’Antonio!) mi vede protagonista: “Sarebbe bastato che il signor Vazzaz avesse chiamato gli uffici di Fondazione o quelli dell’azienda del Teatro del Giglio”. Se è per quello, anche il mio stizzitissimo interlocutore avrebbe potuto telefonarmi: non l’ha reputato utile o, magari, ha smarrito il mio numero, preferendo farmi oggetto d’una vibrante protesta a mezzo stampa, attacco personale incluso.
Per comodità, ti prego di riportare qui il mio numero: 3493607355. Chiami anche di notte, ché dormo poco o nulla e son uso rispondere con grazia a chiunque: non tutti possono dire altrettanto…

Ciò che non faccio, semmai, è suonare il piffero a comando, come piacerebbe a chi misconosce, più o meno in malafede, il ruolo della critica.

Tuo,
Igor Vazzaz

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