Dopo due settimane si chiude la rassegna Tempi moderni nelle corti del capannorese. I già documentati Evasioni e Voglio cambiare lavoro chiudono la rassegna ideata per fronteggiare le limitazioni di questa strana stagione, ma che auspicabilmente verrà riproposta anche in tempi più spensierati.
In entrambe le corti si nota una maggiore partecipazione: non solo in quanto a numeri, ma anche a un pubblico meno sospettoso e finalmente a proprio agio nella situazione performativa. Si avverte anche una crescente spinta a far coincidere l’occasione teatrale con una festa, tanto che a Lammari c’è stato un rinfresco post-spettacolo: un terzo tempo, a cui abbiamo già assistito nei giorni scorsi, che testimonia il ritorno a un teatro come agente nella costruzione di comunità.
Rose rosse a Matraia
Con la replica di Voglio cambiare lavoro, l’Aia Saponati di Matraia ha assistito a tutti i quattro spettacoli proposti (e prodotti) da ALDES. Come riferito per le serate precedenti, il testo di Marcela Serli è quello che offre più spunti per la rottura della quarta parete. Caterina Simonelli – volto incerato, testa parruccata e corpo mezzo vestito con abito anciene regime – è abilissima nell’interlocuzione con il pubblico: non tanto nello stimolarlo, quanto nel domare il flusso di interventi mantenendo sempre il controllo della performance. D’altronde l’attrice è reduce dall’esperienza dell’Ape Teatrale, una serie di appuntamenti promossi dal Teatro del Giglio in cui Simonelli e Marco Brinzi si esibivano, nei panni di Arlecchino e Balanzone, nel centro storico e nelle periferie di Lucca. In questa recente e prolungata esperienza si instauravano logiche da teatro di strada, in cui il testo è solo un canovaccio su cui tessere un rapporto (più o meno volontario) con gli spettatori. Non si poteva dare esperienza migliore per dare vita a una performance che si fonda sul continuo richiamo alla presenza del pubblico: la protagonista, attrice che vorrebbe cambiare lavoro, racconta questo processo rivolgendosi agli spettatori, raccontando, ponendo domande retoriche e, in fondo, cercando di convincerli per convincere sé stessa. La corte, molto piccola e occupata dalla stessa famiglia Saponati, risponde molto bene e quando Simonelli chiede se anche lì si è intonato il Canto degli Italiani durante la quarantena, i cortaioli replicano cantando Rose rosse. In questo caso la durata non ha niente a che vedere con gli sforamenti raccontati dalle serate precedenti: la presenza del baffo vigile di Roberto Castello ha probabilmente temprato i bollenti spiriti di improvvisazione di Simonelli, riducendoli a uno sforamento di appena sette minuti sulla durata canonica di mezz’ora.
Lammari: bimbetti e torte
La corte di Lammari, dapprima preparata con sedute ben distanti dal palcoscenico, accoglie con entusiasmo l’invito ad avvicinarsi, occupando la piccola strada che taglia lo spazio. Marco Brinzi e Riccardo De Simone (rispettivamente attore e danzatore di Evasioni) hanno richiesto un contatto più ravvicinato, ma pur sempre prudente, del pubblico, per avere un ritorno di energia che, comprensibilmente, da otto metri di distanza non si sarebbe sentito. Non l’avessero mai fatto: non si aspettavano di certo un banco di bambini completamente incuranti del vortice narrativo creato da Andrea Cosentino. Mentre gli adulti (e, a dire il vero, altri infanti) restavano imbrigliati nell’evocazione di un film di spionaggio con Brad Pitt e Mara Venier, un gruppetto di fanciulli si era deciso a portare avanti le proprie attività di movimento e conversazione come se niente fosse. Marco Brinzi è un gran bell’animale da palcoscenico e non perde un colpo, anche se la fittissima drammaturgia non lascia spazio a pause o allentamenti del ritmo e si percepisce la fatica nel portarla avanti. Ciononostante, l’attore lucchese usa scientemente pause, fughe e dinamiche di volume per creare situazioni di tensione fissando proprio quel gruppetto di bambini che restano ammutoliti, anche se temporaneamente.
Raccontiamo questo episodio non solo perché il resto (la solidità del testo, la prova d’attore, l’apporto della coreografia) è già stato racconato; ne parliamo soprattutto perché in questa flessibilità risiede uno degli aspetti più interessanti del teatro nelle corti: l’adattamento al contesto. Non si tratta, come per la già citata esperienza dell’Ape, di teatro di strada, giacché per Tempi moderni non ci si allarga nell’improvvisazione, ma si propone uno spettacolo scritto, compiuto, vero. Nel farlo, però, la scena è sempre in dialogo con il pubblico: un flusso sempre sbandierato nel promuovere l’idea di uno spettacolo dal vivo sempre più chiuso e preconfezionato. Gli spettatori tornano ad essere comunità e rispondono genuinamente (anche con freddezza, come pure è avvenuto), a differenza dell’ingessato pubblico che troviamo nelle platee ufficiali. Qualche bimbetto chiassoso in più, forse, farebbe bene anche tra le poltrone di velluto delle platee.