Cugini diversi

Sguardazzo/recensione di "A testa sutta"

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Cosa: A testa sutta
Chi: Giovanni Carta, Luana Rondinelli
Dove: Livorno, Teatro della Brigata
Quando: 17/11/2018
Per quanto: 60 minuti

Due ragazzi, anzi, due picciotti, e una Palermo di suoni grumosi, profumi palpabili, abitata da quella calda, caotica umanità comune a ogni Sud del mondo, quasi tributo a un Pasolini per una volta non direttamente citato. Due fanciulli, fragili e forti, rovescio e doppio l’uno dell’altro: il bullo e il mezzo scemo, lo scimunito e il guappo. Diversi, eppure stretti da un laccio indissolubile, che rappresenta, nella sua intima essenza, l’autentico principio di mutua solidarietà su cui si fonda l’umano.
Non si scappa: specie parassitaria, l’
homo sapiens sapiens sciama e prospera in massa sulle spalle dei suoi migliori esemplari, mettendone a frutto l’inventiva; al contempo, il successo di tale specie è inscindibile dalla propensione efficace a proteggere i più deboli (l’accudimento infantile è l’esempio più chiaro, ancorché meno probante), nell’impulso all’aiuto per quelli che non ce la farebbero.

Tratta di questo spirito solidale, e non solo, l’A testa sutta di Giovanni Carta e Luana Rondinelli, lavoro importante e degno: pure oltre le intenzioni degli autori, encomiabili, ma, in quanto morali, mai sufficienti, di per sé, a giustificare, “salvare” un’opera. La maggior qualità di questo assolo impetuoso e sentito è l’attore. Mai smetteremo di ribadirlo: anagramma di teatro, l’attore è quella presenza sciamanica che dà vita alla forma, anche oltre la propria cognizione, innescando così (quando va bene, come in questo caso) la macchina dell’immaginazione creativa. È così in questo monologo a più voci e presenze, nel nero d’un palco sgombro, in cui è il corpo a costruire compiutamente lo spazio, le sue vie di fuga.

Carta si fa istrione, interprete, imbonitore: usa una lingua grumosa, ispida e liquida al contempo, di parole che il pubblico labronico mal afferra, eppure comprende, accoglie. Slitta fluido di carattere in carattere, tra generi ed età, quest’attore multiforme, naturale, mai naturalistico: e si fa pupo, quando gioca al rialzo e aggredisce il proscenio, calcando il piede sulla panca, unica suppellettile nei paraggi.

U biunnu è lo strano del quartiere, sin da bimbo emarginato perché non come gli altri: non scuro, non lesto, non forte. Tutt’altra pasta il coetaneo cugino, scaltrissimo, a proprio agio negli usi e abusi d’un quartiere e un’età che sono tritacarne, specie coi non adatti. Eppure, tra i due c’è un affetto incrollabile quanto asimmetrico: d’ammirazione stupita, in un senso, di rabbiosa e didattica solidarietà, nell’altro. Il testo di Rondinelli è spartito ideale per il metamorfismo di Carta, diretto ispiratore della pièce: non gli si può dar torto, ché ogni attore vorrebbe poter svariare d’intenzioni ed energie, tra impennate furiose e dilatazioni patetiche, come in questo caso. Sufficienti la voce e il volto a segnare i passaggi, condurre il pubblico, divertito e attento, nella vicenda d’amore e morte dei due ragazzi di vita palermitana.

Si diceva dell’attore come tutto teatrale: è così in questa prova che ci ricorda, per abilità, lingua (da toscani, ci perdiamo la minuziosa caratterizzazione dialettale) e vocazione polifonica, l’Antropolaroid di Tindaro Granata e, per il felice quadro d’insieme, l’Italia-Brasile 3-2 di Davide Enia, assoli significativi d’una scena sicula che non s’esaurisce in Emma Dante.
Poco importa se la storia è un filo prevedibile, così come la coloritura moralistica: da sempre diciamo che
la trama non conta ed è così che ci troviamo ad applaudire convinti, assieme a tutto il caparbissimo Teatro della Brigata.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una canzone sarebbe... "Chicco e Spillo" di Samuele Bersani, rifatta in siciliano

Locandina dello spettacolo



Titolo: A testa sutta

di Luana Rondinelli
interpretazione e regia Giovanni Carta
musiche Massimiliano Pace
disegno luci Massimo R. Beato
aiuto regia Silvia Bello
assistente alla regia Teodora Mammoliti
foto Pino Le Pera
produzione Accura Teatro
in collaborazione con Di venere e di Marte


«Mi è stato commissionato un testo che si muovesse tra l’ombra dell’emarginazione e la luminosa spontaneità dei sentimenti. Sullo sfondo di una Palermo che restasse a guardare con le sue strade polverose e pettegole, ho immaginato di ricostruire il palcoscenico di un’infanzia dalle ore fragili e dai giochi duri, propri di quel rito di iniziazione che è la vita. La poesia avrebbe inondato il paesaggio delle palazzine popolari, velenose come alveari e fitte di complice vivacità, e si sarebbe snodata nei cortili, nelle strade terrose, nel chiasso dei bambini di strada fino a raccontarci di due personaggi opposti ma complementari. U biunnu, bambino dalla pelle bianca e affetto dal “candore del cuore” e suo cugino, il “mafiosetto” del quartiere, che si è fatto carico della fragilità del Biunnu, abbabbasunnato in mezzo alla strada, in perenne conflitto tra il suo delicato mondo interiore e la cruda realtà in cui è costretto a muoversi. Si percepirà nel testo una nota di dolcezza nel bullismo del cugino, che potremmo definire un duro atto di amore e che diventa quasi protesta davanti all’inconcepibile binomio debolezza-sensibilità di cui Biunnu “è affetto” e che lo rende incapace di entrare in rapporto attivo con i “normali” della comunità, allontanandolo dal “mordere il mondo” quanto piuttosto ad accarezzarlo attraverso il filtro della sua ingenuità. E come dalla terra arida della Sicilia fiorisce il profumo dei gelsomini, così dal degrado sociale sboccerà un piccolo esempio di acerba bellezza, in cui scopriremo che i due personaggi non sono che uno solo – “Chi avi di diverso, tagghia ca chi sangu nesci” – direbbe la madre del Biunnu – e che entrambi sono cresciuti tenendosi metaforicamente la mano pur osservando la vita da due prospettive diverse, sentendola sulla pelle agli antipodi, là dove i piedi e la testa di uno saranno la testa e piedi dell’altro, ma unico resterà il baricentro dei cuori. L’emarginazione, la diversità, la violenza, l’incomunicabilità diventeranno perle di luce e il paesaggio interiore, ormai libero di potersi affermare, si farà lentamente spazio nel degrado della scena iniziale. La morale è una capriola – “Ti spogghia i pinseri e ti talia cu dda innocenza chi ti fa pinsari chi fosse l’unici diversi semu nu iatri: io, tu, tutti” – e si finisce A testa Sutta per confondere la linea tra il cielo e la terra, abbandonando ogni limite dettato da un pregiudizio che possa coglierci impreparati.

Luana Rondinelli

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.