Alla vigilia del grande freddo, il nuovo spettacolo di Rezza-Mastrella debutta a Torino sfidando la sorte in un venerdì 13 novembre. La prima, evidente, novità di Anelante è la presenza di altri quattro performer in scena assieme ad Antonio Rezza, di solito da solo o affiancato da Ivan Bellavista. Temevamo che, un po’ à la Paolo Poli, l’artista iniziasse ad allentare la pressione su di sé. Invece, i quattro sono primariamente dei culi. Due chiappe non bastavano più, evidentemente, a riempire tutte le finestre dell’installazione di Flavia Mastrella. Cinque corpi in scena permettono soluzioni corali, echi e giochi di presenza/assenza articolati: i capi di stato che, a un summit, si contano sbucando dalle finestre; cinque sedie che saltano a ritmo o cinque quadrupedi che zampettano in simultanea; infine, la popolazione subacquea (o aliena) con cui termina lo spettacolo.
L’habitat sembra tornare ad appiattirsi sulla bidimensionalità caratteristica dei primi spettacoli: è composta da pannelli zebrati che, da un certo punto, si scompongono e ricompongono in tutto il palco. Questa costruzione sghemba ricorda uno strano teatro dei burattini da cui si affacciano, con la stessa naturalezza, volti o deretani.
La vera rivoluzione sta nel rapporto col pubblico. Lungi dal voler trovare una definizione esaustiva dello sfaccettato conflitto che è parte essenziale della poetica rezziana, si può delineare un prima e un dopo. Fino a Fratto X, la platea è bersagliata (a volte letteralmente) dal performer: «Non capisce niente lo spettatore, è l’anello debole della catena. Tutto tramonta, di fronte allo spettatore!». Questo meccanismo apparentemente dispregiativo crea compiacimento: Rezza si rivolge a qualcuno (la massa o un singolo), come se elargisse, di fatto, la possibilità di sentirsi migliore agli altri che osservano. Qualcosa si rompe e, in Anelante, il pubblico è completamente ignorato: il performer ci guarda, magari ci fissa, ma non ci rivolge mai la parola.
Rezza sviluppa dei temi urticanti che negli altri spettacoli erano solo accennati: la necrofilia, la pedofilia, l’incesto. Il culmine si ha a metà dello spettacolo, con la cerimonia funebre di un cadavere ripetutamente vilipeso: quattro spettatori complici inculano (metaforicamente) i personaggi in scena, mentre il performer rammenta quando, chi gli sta dietro (coincidente, per puro caso, con chi scrive), era ancora troppo piccolo per farlo e doveva essere tenuto in braccio dal padre. Il tutto è raffigurato con un originale simbolismo: specie per chi ne conosce il percorso, sembra che Rezza stia “alzando l’asticella” rispetto alle tematiche, alla loro intrinseca asperità, quasi gli fosse rimasto poco margine per farlo sul linguaggio. La risata, in questi momenti, congela la mandibola per un cinismo lanciato ancora più lontano, oltre gli ultimi tabù che avevano (vagamente) resistito.
Anelante è il primo spettacolo concepito dopo i premi Hystrio e Ubu e, in un momento in cui il target di Rezza-Mastrella appare in ulteriore forte espansione, instaura un corpo a corpo vero (stavolta senza i meccanismi un po’ ruffiani accennati prima) con la sensibilità di una fetta più ampia di spettatori. Agli altri, i più affezionati, forse sarebbe il caso di spiegare il motivo di questa crescente ossessione per il sesso anale: che gli avranno mai fatto i finocchi al Rezza bambino?
Ci si chiede cosa ci sarà dopo Anelante: i bookmakers quotano l’arruolamento in Daesh o l’internamento volontario in un convento di clausura.