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«Sogno, o son desto?», così si rimane dopo i 100 minuti di Anima!, composito lavoro offerto da Leviedelfool del polimorfico e talentuoso Simone Perinelli, terzo spettacolo della rassegna Lucca Visioni. Si potrebbe trattare della perfetta centratura del bersaglio da parte del teatrante romano, di cui da tempo seguiamo le gesta, apprezzandone le indubbie doti sceniche, la potenza poetica, la grande capacità di costruzione.
Lo sguardo è sin da principio accolto in un dedalo di visioni, rimandi, suggestioni sinestetiche: scena dominata dal bianco, nitore sul quale si stagliano quattro figure tra l’animalesco e l’antropomorfo. Aleggia un apologo sospeso:
«Moltissimi gatti si sono radunati in una casa diroccata e deserta, dove un uomo li sta osservando di nascosto. Un gatto balza sul muro e grida: “Dite a Dildrum che Doldrum è morto”. L’uomo va a casa e ripete la frase alla moglie, al che il gatto di casa fa un balzo e miagola: “Allora il re dei gatti sono io!” e scompare su per il camino».
È l’abbrivio d’una complessa, oppure facilissima, apposizione di scene, slittamenti, soluzioni teatrico-musicali in cui i quattro performer (oltre a Perinelli, la ricciuta e formosa Sussanah Iheme, lo scultoreo e flessuoso Ian Gualdani già ammirato nel Caligola carrettiano, l’autenticamente gattesco e sornionissimo Alessandro Sesti), danno fondo a ogni risorsa. Occhi e orecchie diventano ostaggi delle azioni inscenate, che lambiscono ogni possibilità espressiva: dall’ostentata spettacolarizzazione del canto sdilinquito a momenti di toccante intimismo, nella paradossale potenza d’una fragilità esibita. Tanto, e forse pure troppo: come in un pasto pantagruelico, il rischio è la perdita di definizione, il naufragio in cotanto mare di suggestioni, posto il plauso per uno spettacolo, anzi un teatro, che si offre nella sua più plateale onestà. L’eccesso di forma e forme dell’orditura è un grande tentativo poetico, cui difetta qualche (dolorosa e) netta decisione circa cosa offrire a chi non ha assistito al percorso d’allestimento, le tracce seguite, gli spunti, un plesso di segni certo interessante da conoscere. Ed è curioso che, nelle repliche successive a questa, la comunicazione sulla messinscena includa delle Istruzioni per l’uso:
- Partecipa allo spettacolo con la stessa attesa, con la stessa illusione con cui ci si addormenta: il sogno può rivelarsi oppure no;
- Il sogno non è una scena del crimine: non c’è una ragione da cercare o una legenda per decifrare la scena. I segni si auto-generano e si auto-annientano, solo tu puoi scegliere quali riconoscere;
- Lasciati trasportare dalla logica dell’onirico. Le leggi che governano la superficie del mondo non sono in vigore in questo spettacolo;
- Non cercare il tema. Cogli i riferimenti che trovi più avvincenti: ogni associazione emotiva o intellettuale che scaturirà dentro di te sarà la più giusta per immergerti nel mondo di ANIMA!
Leggendo queste dritte assieme al resto degli scritti sull’operazione, pensiamo di capire maggiormente lo scopo di Perinelli, che contrasta, in modo tutt’altro che polemico, con la condanna della critica, ossia quella di parlare, rendere logos, quanto di ben più grande rispetto alla logica si dia, e cioè l’opera d’arte. E questo giustifica il dissidio tra il nostro sguardo e una messinscena tanto opulenta di intuizioni: a fronte d’un lavorone, si ha come l’aria d’essere, per dirla in poesia, della razza di chi rimane a terra, come l’osservatore della fanciulla Esterina protagonista del Falsetto di Eugenio Montale. Nondimeno, gli applausi sono meritatissimi, quanto le perplessità per un Teatro del Giglio che, il giorno stesso in cui va in scena questo lavoro e alla vigilia della prima, storica, recita della Societas a Lucca, diffonde un comunicato sul primo titolo della stagione di prosa (il non teatro di Michela Murgia, su cui magari torneremo) tacendo di questi appuntamenti immediati, una forma di autolesionismo che neppure val la pena sforzarsi di capire.