Cognome, Cecconi. Nome, Romano.
Scrive (una) Cecconi. Nome, Francesca.
Non era possibile lasciar passare inosservato uno spettacolo come Romanina di Anna Meacci, sia per tematiche sia per il cognome, unica occorrenza tra gli arlecchini, della presente articolista.
Medesimo gentilizio, appunto, di Romano, protagonista indiscusso della pièce, scritta assieme a Luca Scarlini e liberamente ispirata al libro Io, la “Romanina”. Perchè sono diventata donna di Romina Cecconi, coraggiosamente pubblicato nel 1976 dall’editore fiorentino Vallecchi.
Romano, Romanina e “infine” Romina: ecco il trittico di personaggi che si raccontano durante lo spettacolo, ma che in vero si racchiudono nell’anima autentica di un(a) Cecconi, interpretata dalla Meacci.
Bassa, atticciata, l’attrice toscana; alta, bionda, la vera Romina: a physique du rôle siamo messi bene e Stanislavskij ne gioverebbe; ma per chi assiste (una stangona di un metro e cinquanta) non conta, tanto forte e irruente è la storia del primo uomo riuscito a operarsi per coronare il proprio desiderio di divenir donna. Il pregiudizio è dietro ogni angolo e non si può star tranquilli se si è una Eleonora Rossi Drago, costretta nella gabbia toracica (e non solo) di un uomo. La forza di Romano è nell’affrontare la vita col sorriso e l’ironia, nonostante i continui licenziamenti dal lavoro, a onta di dover passare da un carcere all’altro (gioendo un poco quando da quello maschile si approda a quello femminile), malgrado il chiacchiericcio continuo del volgo.
Un palco completamente spoglio, se non per alcune scarpe maschili e femminili a delimitare il perimetro della scena. Per il resto, è tutto in mano alla luce che simula luoghi e situazioni: da un’illuminazione da varietà, a esaltare le paillettes del vestito, alla penombra del carcere fiorentino delle Murate. Con un repentino scivolamento di lato sotto un occhio di bue, la Meacci slitta da Romano a Romanina con una recitazione che è il frutto di uno sprizzante e irridente sarcasmo, manovrato dalla regia, anch’essa toscaneggiante, di Giovanni Guerrieri. Il régisseur dei Sacchi di Sabbia prende per mano la piccola attrice e la innalza oltre il metro e novanta d'(u)omo per poi condurla alla raffinatezza e l’eleganza femminile. Anche la musica ricalca l’oscillazione tra il sardonico orgoglio e il malessere intimo di Cecconi, fluttuando dai brani nostalgici e romantici di Edith Piaf a quelli più cadenzati come Ma l’amore no di Eva Nova, dondolando con peculiare gusto dalla canzone fiorentina di Riccardo Marasco con la divertente e rudimentale Baco Gigi per poi sciogliersi sulla splendida e donnesca Fragile di Mina. E la voce tremula, il groppo in gola, qualche inceppamento nella battuta o qualche minima sbavatura sono concesse ad Anna Meacci, portatrice di uno spettacolo, lo dichiara lei stessa, che in molti teatri non si ha il coraggio, come la stessa Romanina, di accettare.
Cognome, Cecconi. Nome, Romina.
Scrive (un’altra) Cecconi. Nome Francesca.