Anche il Maggio Musicale Fiorentino festeggia il centenario della nascita di Leonard Bernstein inserendo in cartellone uno dei suoi capolavori, West Side Story. Vale davvero la pena celebrare questo gigante del Novecento: eclettico compositore, uno dei migliori direttori d’orchestra, fine pianista e brillante divulgatore. Della sua opera, come della sua vita, ci resta un messaggio di superamento dei confini e della paura: utopia più che mai evidente in West Side Story. Il libretto di Arthur Laurents e Stephen Sondheim si definisce come «musical in due atti», ma in quest’opera c’è molto di più: se si vuole sostenere che l’opera lirica non si esaurisce con Puccini, c’è una linea che congiunge i due compositori, pur sfumata in un passaggio di epoca, medium, scenario.
Un fil rouge ancor più evidente è legato alla grande drammaturgia, poiché Laurents attua una fedelissima traslazione di Romeo e Giulietta dalla Verona del Cinquecento alla New York della metà del XX secolo. Ecco che Montecchi e Capuleti diventano le bande rivali di Sharks (portoricani) e Jets («un’antologia di tutto ciò che viene chiamato ‘americano’»). Al di là di una struttura drammatica pedissequamente paragonabile al play, è l’essenza scespiriana che viene riattualizzata sul palcoscenico: una storia d’amore dominata da inutili faide e che qui finisce con la morte del solo Tony, mentre Maria che sopravvive per un finale e potente j’accuse.
Quello presentato a Firenze è l’allestimento che riprende l’originale firmato da Jerome Robbins per lo spettacolo di Broadway (e per il film del 1961): la regia di Federico Bellone, ripresa da Chiara Vecchi, dirige con precisione i corpi sul palcoscenico, garantendo sempre un ritmo molto serrato e preciso, in linea con il carattere della partitura. Hella Mombrini e Silvia Silvestri disegnano delle scenografie leggere e flessibili: con un pannello, pochi oggetti di scena e un uso sapiente della sintassi illuminotecnica si costruiscono gli interni; gli esterni, invece, sono affidati a delle strutture mobili in ferro, che richiamano le scale antincendio tipiche del panorama newyorkese. Le canzoni sono in lingua originale, e i dialoghi sono tradotti in italiano: agli artisti in scena è richiesto di saper cantare, ballare e recitare ad alti livelli.
La questione irrisolta è nel rapporto tra il cartellone di un grande teatro lirico, qual è il Nuovo Teatro dell’Opera di Firenze, e un lavoro anfibio, che – nella sua identità – si presta a diverse interpretazioni. Certo è vero – il libretto su questo è esplicito – che nel 1957 Bernstein scrive un musical per Broadway, ma è vero pure che questo lavoro è ormai riconosciuto come un capolavoro del teatro musicale tout court. Bernstein stesso, nell’incisione del 1985, dirige un cast di cantanti lirici del calibro di Kiri Te Kanawa e José Carreras: da un teatro d’opera ci si aspetterebbe la valorizzazione degli accenti più propriamente lirici, nel trattare un simile oggetto, proponendone la lettura nella tradizione della musica colta. Gli interpreti in scena, invece, sono professionisti del musical: bravi, ma con voci diverse da quelle che, nel cartellone, si collocano tra Rossini e Wagner. Il risultato è uno spettacolo ben gestito, emozionante, ma appiattito (anche per l’uso di un microfonazione non spazializzata) su un genere da cui non può risaltare in tutto il suo splendore. Anche l’Orchestra del Maggio, diretta da Francesco Lanzillotta, non sembrerebbe del tutto a proprio agio, faticando a restare unita e brillante in alcuni passaggi, dando l’impressione che la buca non voglia davvero appoggiare l’obiettivo che si persegue sul palcoscenico. Sarebbe ovviamente troppo complicato trovare dei cantanti lirici a cui chiedere quel livello di preparazione sulla recitazione e, soprattutto, sul ballo. Ma, a questo punto, resta un interrogativo insoluto: come mai sul repertorio tradizionale c’è una certa consuetudine a fare operazioni molto (per alcuni, non per noi, troppo) innovative, mentre su un lavoro così recente non si cercano soluzioni inedite, invece di attenersi così fedelmente al modello teatral-cinematografico?