È un quadro d’ambiente lo spettacolo che il Gruppo e-Motion porta in scena al Teatro dei Rinnovati di Siena. Sul palco, una discarica in continuo mutamento, in un altrove che potrebbe collocarsi dietro l’angolo di casa nostra: dopotutto, noi italiani abbiamo guadagnato recente notorietà internazionale anche grazie all’inadeguata gestione dell’immondizia, e, nonostante oggi i comuni virtuosi si stiano progressivamente moltiplicando, il problema è tutt’altro che risolto. Qui, però, non si parla (solo) di rifiuti inanimati: la ricerca di Francesca La Cava nel suo Garbage Girls riguarda più le girls che il garbage, e si concentra sul concetto di rifiuto umano; su quelle presenze, cioè, scomode ai più, che vivono (di certo non necessariamente per propria scelta) ai margini della società e cui – pensiamo agli immigrati nordafricani – viene sportivamente attribuito ogni genere di colpa.
Nonostante il tema prescelto, il lavoro appare scevro da intenti di denuncia sociale e la compagnia abruzzese muove dal sopracitato contesto di disagio e di emarginazione per astrarsi, portando in scena un universo parallelo dove la condizione di outsider permette una vita più libera e più vera, fuori dalle regole e dalle convenzioni. Regine incontrastate di questo mondo dominato dal caos (reale: buona parte del palcoscenico è ricoperta da oggetti sparsi alla rinfusa), tre giovani donne, compagne di strada e di vita, a rivelare al pubblico lo squarcio di una quotidianità fatta di avventure, litigi, esperimenti, ricerche. Vestono strampalate, sciorinando eccentrici abbinamenti in cui si associano con naturalezza pigiami quadrettati a vivaci abiti floreali; barbone, ma anche bambine che giocano a travestirsi nella loro confusionaria cameretta, in cui ogni oggetto è un potenziale trastullo. Un grande tino nero è continua fonte di risorse: elettrodomestici, scarpe spaiate, teli di plastica che, nelle mani delle interpreti, assumono nuova vita. Tutto è concesso, dai concerti con un trapano elettrico alle acrobazie ai dialoghi con un kitschissimo barboncino giocattolo che cammina e abbaia trascinato al guinzaglio.
Le coreografie sono informate da interessanti ricerche linguistiche nell’espressione dei caratteri e dei diversi temperamenti, e le relazioni che si creano emergono come istintuali e primordiali. La partitura fisica, pur complessa e dinamica, non sfocia mai nell’ostentazione gratuita delle capacità atletiche delle brave interpreti, rimanendo vera espressione della natura dei personaggi, che saltano, rotolano, si mettono alla prova: come nell’assolo di Angela Valeria Russo, quando la performer, calzando un decolté a un unico piede, sfida la gravità cimentandosi in impressionanti equilibrismi.
Ai momenti di agitazione si alternano fasi di stasi e introspezione, in cui la solitudine si impone come inevitabile momento di passaggio. Ma è, infine, una risata collettiva a chiudere lo spettacolo, con le interpreti che riprendono il loro gioco di bambine correndo fuori scena, in una sostanziale celebrazione di quell’energia e di quella spontaneità che caratterizzano un’esistenza vissuta, sì, fuori dagli schemi, ma, forse proprio per questo, più vera e concreta.
Un’allegria che, rispetto al soggetto trattato, rischia di rappresentare un’autentica licenza poetica e allontanare ancor più la finzione dal suo corrispettivo reale, per relegarla nel campo dei passatempi; seppur tra quelli piacevoli e ben confezionati.