È da qualche anno che il ritorno alla fiaba è sempre più gettonato: dal rifacimento in versione attoriale dei classici Disney a serie tv ispirate integralmente alle più celebri favole (Once Upon a Time, Scary Tales – il lato horror delle fiabe). Anche in ambito teatrale, il tema va per la maggiore, non solo per quanto concerne il teatro ragazzi, ma anche tra gli adulti (si ricorda qualche anno fa Cappuccetto Osso dei Gogmagog che abbiamo recensito qui). Ciò che invece ci induce ad assistere a C’era una svolta di e con Manuela Bollani è quella divertente s del titolo che ci prefigura qualcosa di interessante.
La parte retrostante del palco del Comunale di Pietrasanta ospita una piattaforma su cui è posizionata la Maboh Band, il gruppo che accompagnerà l’intero spettacolo in una sorta di cabaret, dove ogni monologo della Bollani viene seguito da uno o più brani inediti sul tema fiabesco. La drammaturgia è basata sull’ipotetica variazione delle fiabe, sulla celebre domanda: cosa sarebbe accaduto se, in quella particolare circostanza, anziché compiere una determinata azione, il o la protagonista ne avesse scelta un’altra? Un’interminabile sequela di svolte si innesca, così, nei racconti: da Cappuccetto Rosso che scova la nonna intenta in un amplesso con il cacciatore, alla Fata Turchina che, invece di risolvere i problemi del discolo Pinocchio, ne crea di altri. Non vi è scenografia, se non per abiti o cartonati che di lato o dall’alto compaiono sul palco alla bisogna: tutto è in mano a Manuela Bollani, attrice, cantante e intrattenitrice dell’intero show. Si ha come l’impressione di aver calcato un po’ la mano nel volere inserire molte argomentazioni e ingredienti all’interno di un unico spettacolo: lo spettatore è fagocitato dalle innumerevoli citazioni pop, che vanno dalle parole utilizzate per invocare un incantesimo (abracadabra, parimpampù, apelle figlio di apollo) a parafrasi di citazioni del tipo «Ogni giorno una ragazza…».
Tra una chiacchierata con Bianchy e Cene, rispettivamente Biancaneve e Cenerentola in versione ipermoderna, al pub del paese, spunta un insospettabile cartonato di Charlie Chaplin, la cui presenza ci risulta altamente forzata, a meno che non stesse a significare un’eventuale svolta narrativa all’interno della drammaturgia.
I brani musicali spaziano da una Cenerentola libertina intenta a cantare parole come «La dà, la dà come se neanche fosse sua…» a una rivisitazione di Bocca di rosa, il cui testo è devoluto alla narrazione della vicenda della Fata Turchina, che tramuta il celebre capolavoro di De André in… Mani di merda.
Per l’utilizzo del dialetto fiorentino della nonna di Cappuccetto Rosso e alcuni vezzeggiativi sconci ci par di ritrovare un’ eco toscana proprio di quel Pinocchio firmato nel 1998 dal duo Ceccherini Paci. L’audio e il disegno luci lasciano alquanto a desiderare per la performance pietrasantina: Bollani resta spesso in penombra, e la musica troppo alta cela in più occasioni alcune porzioni di testo, la cui comprensione sarebbe basilare per le risate nel pubblico.
Drammaturgia non lineare, come, del resto, accade alla vita: non vi sono sensi unici, ma possibili rotonde e opportunità di cambiare strada, grazie a bivi, incroci e sì, pure svolte. Lo spettacolo, in giro da quasi un anno, è, comunque, in pieno rodaggio, e magari, con le dovute repliche, avrà modo di prendere ulteriormente forma e trovare un assetto più convincente.