Ogni sfaccettatura dell’esistenza fatica ad essere categorizzabile, e dunque un suo aspetto centrale come la sessualità (nelle sue varie declinazioni) sfugge alle definizioni restrittive che negli ultimi secoli ci siamo tanto ingegnati di creare. Niente di nuovo, non è già quello di Ermafrodito un mito in cui il sesso si manifesta nella sua possibile complessità? Abbiamo avuto modo, nel tempo, di congelare, fino a negare, i caratteri naturali (ma sì, abusiamo di una parola assolutamente priva di valore, lettori vedete di capire): è forte quindi la necessità di mostrare quanto certe definizioni siano prive di reale significato.
È alla Tenuta dello Scompiglio (Vorno) che questi temi vengono trattati, tramite vari linguaggi, grazie all’iniziativa Assemblaggi Provvisori, che ci permette di assistere anche agli spettacoli vincitori del bando indetto nel gennaio 2015: è la volta di MDLSX, lavoro di Motus, con Silvia Calderoni, per la drammaturgia della stessa e di Daniela Nicolò, e regia di quest’ultima ed Enrico Casagrande.
Ispirata al romanzo autobiografico Middlesex, dell’americano Jeffrey Eugenides, ma non priva di altre suggestioni, questa piéce -un esperimento, uno studio, come riferisce la descrizione che troviamo sul sito della Tenuta – (con)fonde musica, videoarte, recitazione, e, a seconda di quale valore si attribuisca a questo termine, danza. Silvia Calderoni intesse una trama in cui la sua storia e quella del romanzo si incontrano e incrociano, svelando i confini labili della sessualità e della vita stessa.
Lo spazio scenico è scarno: un telo argenteo funge da tappeto, sullo sfondo un tavolo metallico porta sul dorso varie strumentazioni informatiche, in alto, sulla sinistra, appeso al muro come un quadro dimenticato, un cerchio pallido, di tela. La tela prende vita quando vi si proietta una bambina (l’attrice da giovanissima) intenta in uno stentato karaoke: il cerchio ricorda ora la mandorla in cui si trovano certi Cristi, o un uovo che, alla schiusa, mostri una vita, o uno specchio, che rifletta una possibile realtà.
L’attrice solca la scena al termine della proiezione: corpo lungo, magro, scolpito, che più volte si manifesta in una parziale o totale nudità, mostrando seni scarni simili a pettorali maschili, gambe lunghe e affusolate; volendoci rifare al genere come criterio distintivo (per metterne in dubbio l’effettiva autenticità: non perdetevi nel filo del discorso!), diremmo un corpo privo di femminea grazia, semmai mascolino, energico, elegante, a cui si accosta in antitesi una voce dolce, adolescenziale, quasi infantile. Ci racconta una storia, o forse due, che si incrociano facendo in modo che se ne perdano i confini: adesso parla di sé, o del giovane che nasce due volte? Non ha poi senso tentare di discernere il confine di una vita, quando il senso della trama è di accennare ad argomenti che stanno al di sopra e all’interno delle varie esistenze.
Silvia Calderoni è narratrice sì, ma anche dj, inserisce i brani, i cui titoli si proiettano sullo sfondo (no, proprio non ce li ricordiamo), e vi canta sopra, o parla, comunque racconta, mentre nel cerchio di tela si disegna ora il suo volto ora il suo corpo, ripresi in diretta da lei stessa: lasciamo, infine, ad arlecchini ben più esperti la possibilità di (s)ragionare sull’uso del video [per esempio qui], e diveniamo partecipi di un pubblico che regala applausi scroscianti, sentiti, trascinato da un racconto sincero.
[Photocredit: Ilaria Scarpa]