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Sacchi a piede libero

Sguardazzo/recensione di "Chi ruba un piede è fortunato in amore"

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Cosa: Chi ruba un piede è fortunato in amore
Chi: I Sacchi di Sabbia, Massimo Grigò, Tommaso Taddei, Annibale Pavone, Alessia Innocenti
Dove: Prato, Teatro Metastasio
Quando: 16/01/2020
Per quanto: 60 minuti

Da anni I Sacchi di Sabbia riescono a incuriosirci, spiazzarci, divertirci, grazie a un eclettismo privo d’eguali nel panorama nazionale. Gli artisti anche più grandi, una volta individuata una propria cifra espressiva, vi restano fedeli col rischio di farsene ingabbiare: pensiamo, con tutto l’affetto, a Rezza, Latini, Paolini, per citare esempi disparati. E, in effetti, il paradosso dei lavori creativi sta nella ricerca di “uno stile”, salvo, poi, riuscire a liberarsene (lo dice Calvino in Un punto nello spazio, da Le cosmicomiche): in pochissimi riescono in un’impresa simile, già complessa per quanto concerne il primo segmento. La compagnia che fu tosco-partenopea ha, invece, saputo passare dalla piazza (Il Teatrino di San Ranieri) alla “camera” (Tragos), debordando poi tra deliri eroico-ortofrutticoli (Sandokan) e felicissime incursioni operistiche (Don Giovanni); s’aggiungano, infine, le ultime realizzazioni tra pop-up, radiofonia, maggi drammatici e le collaborazioni con Massimiliano Civica: se ne trarrà l’impressione d’una ricerca mai esausta, ma con le radici ben piantate nella più consapevole e verace cultura teatrica. 

In quel di Prato, troviamo dunque Giovanni Guerrieri e Giulia Gallo alla direzione (quasi) convenzionale d’un allestimento (quasi) convenzionale: la dimensione registica non è una novità assoluta (citiamo La Romanina con Anna Meacci, oltre una dozzina di anni fa), ma l’idea d’una messinscena a partire da una commedia conchiusa, ancorché scientemente sbilenca come quella firmata da Fo nel 1961, e d’una regia a quattro mani si segnala senz’altro quanto a peculiarità. 

Spazio unico, pochi suppellettili per un’ambientazione con minuti riferimenti al design postmoderno e un indovinato impiego delle luci: vi si snodano (anzi: s’annodano) le storie di una truffa d’ambito edile (col bislacco furto di un piede marmoreo) e un amore fedifrago. La chiave dello spettacolo, però, non risiede nel registro frizzante e un po’ pazzo che caratterizza tutto il primo Fo drammaturgo, bensì nella vocazione sacchiana a proporre, sempre e comunque, un ragionamento sulla scena. Questa la funzione del prologo a sipario chiuso di Annibale Pavone e Tommaso Taddei, primo di molti interventi apportati alla partitura d’origine (finale compreso). Il fil rouge è prontamente confermato dalla pacca che lo smagliante Massimo Grigò assesta sui glutei di Alessia Innocenti, sospendendo l’azione per mostrare didascalicamente come tale gesto fosse una sorta di costante nei rapporti lavorativi dell’Italia nei favolosi anni Sessanta. Si ride, e non poco.

La commedia procede così, in un incrollabile e indovinato andirivieni tra dentro e fuori la storia, dinamica metateatrale che ci pare forma di straniamento coerentissima con la poetica dei Sacchi più che con quella di un non meno (ma diversamente) brechtiano Fo. A funzionare è, senza dubbio, il ritmo: i cinque bravi attori (Taddei su tutti, nella parte che fu del Nobel) divertono e si divertono, tenendo un’ora e mezza senza il minimo calo.
Resta, però, l’impressione d’un lavoro non del tutto in assetto: da un lato, è possibile che operare su una tessitura drammaturgica forte e non auto-prodotta sia pratica inconsueta per i Sacchi, necessitante di rodaggio; dall’altro, un allestimento come questo ha, senza dubbio, bisogno di stare in scena, cosa che gli auguriamo, nella speranza che il MET, responsabile della produzione, voglia davvero distribuire uno spettacolo ora fermo, dopo le repliche del debutto; e non, come accade sovente un po’ dappertutto, aggiungere un titolo alla documentazione per ottenere finanziamenti.
Incrociamo le dita.
Di un piede.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... l'inizio di un proverbio sarebbe... «Se son rose...»

Locandina dello spettacolo



Titolo: Chi ruba un piede è fortunato in amore

di Dario Fo
con Massimo Grigò, Alessia Innocenti, Annibale Pavone, Tommaso Massimo Rotella, Tommaso Taddei
scene e costumi I Sacchi di Sabbia
realizzazione scene Laboratorio del Teatro Metastasio
capo macchinista costruttore Tobia Grassi
realizzazione piede Noela Lotti
musiche originali di Fiorenzo Carpi
arrangiate ed eseguite da
Tommaso Novi
regia Giulia Gallo e Giovanni Guerrieri/I Sacchi di Sabbia

produzione Teatro Metastasio di Prato
collaborazione I Sacchi di Sabbia ed Armunia


"Per ordire una truffa ai danni di un’impresa di costruzioni, due ribaldi rubano in un museo il piede di una statua romana e lo seppelliscono nel terreno dove l’impresa sta iniziando a costruire. Così, dopo essersi finti archeologi e aver minacciato i 'palazzinari' di bloccare il cantiere, riescono ad estorcere loro un’ ingente somma di denaro. Uno dei truffatori realizza così il sogno vagheggiato da una vita: comprarsi un taxi e lavorare onestamente. Ma il destino gioca un tiro mancino al nostro neo-tassista, che si ritrova ad accompagnare a casa proprio la moglie di uno dei due imprenditori gabbati, di cui finisce per invaghirsi. Quivi rispunta il piede e con esso il marito truffato, il socio di lui nonché amante di lei, un chirurgo estetico, un poliziotto e chi più ne ha più ne metta. Prende vita una commedia degli equivoci folle, circense, a volte scollacciata, corrosiva della morale comune, a cui fa da sfondo il mito classico di Apollo e Dafne (così si chiamano infatti i due protagonisti), che adombra una malinconica storia d’amore". È un Dario Fo scanzonato, erede del circo e dell’avanspettacolo, ancora lontano dalla politica, quello che emerge da questa commedia scritta ormai quasi sessant’anni or sono, in cui i personaggi sembrano scolpiti dai tempi comici, più che dalla trama, e dove la 'trovata' governa la struttura, come nella migliore tradizione della Commedia dell’Arte. Più che altrove, la comicità di Dario Fo assume una peculiare forma di crudeltà. Qui il comico non vuole 'insegnare' niente; sembra piuttosto dirci, a sessant’anni di distanza: questa è la vita, sta a voi spettatori decidere se riderci o no.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.