I fumetti a teatro, più che il teatro a fumetti.
Idea, in sé, non originale, anzi: entrando nella platea gremita da spettatori sui generis come i frequentatori di Lucca Comics & Games, sospettavamo di trovarci di fronte un lavoro supino all’idea sorgente (la graphic novel Cinzia di Leo Ortolani, spin-off dalle celebri strisce di Rat-Man), ruffiano e banalotto. Non che la stima per il pubblico teatrale in sé (quello che applaude sempre e comunque) sia soprana, tutt’altro; la diffidenza non è(ra) neppure da ascrivere alla difesa d’un orticello (l’arte scenica) che faticheremmo a individuare, piuttosto alla presunzione (sempre da combattere) di conoscere i propri polli.
La traslazione formale è operazione sempre complessa: se è vero che fumetto e cinema son rapportabili sia per l’uso del quadro come selezione della realtà sia per possibilità di ambientazioni fantasticamente verisimili, è altrettanto vero che il teatro, non potendo contare su effetti speciali, richieda strategie diverse, ove l’ingegno ha una parte rilevante.
Peraltro, il libro di Ortolani si contraddistingue per umorismo rapido, aguzzo, in chiave sia ludica sia sociale, col massiccio impiego di paradossali a parte, ove gli inserti immaginari traducono il pensiero dei personaggi (come nei Simpsons, per intenderci) con la funzione d’autentica punteggiatura al discorso comico. In tal senso, la traduzione scenica di questa storia a due livelli (riflessione sul genere e vaneggiamento biblico: la vicenda dell’Arca di Noè segue il dipanarsi della narrazione) pareva davvero impresa complessa.
Nicola Zavagli, regista e adattatore, risolve il tutto con un uovo di Colombo: se la potenza della scena è simbolica, e non mimetica, inutile provare qualcosa che non potrebbe funzionare; così, in un’ambientazione scientemente indefinita, vengono drammatizzate le tavole al completo, senza mutar quasi nulla del dettato originale, con l’ausilio (non rilevante) del proiettore.
Gli a parte sono dunque affidati alla pura e semplice recitazione degli interpreti: Nicola Sorrenti è Paul/Cinzia, protagonista in cerca d’una non piana ridefinizione di genere; Francesco Petruzzelli è Tamara, incontenibile e risolta travesta, sua amica intima; Giuseppe Sartori interpreta (prevalentemente) Tomas, collega d’ufficio di cui Cinzia s’innamorerà, innesco per la trama successiva; infine, Cristina Poccardi e Francesco Giordano sono i due jolly, abili a slittar di carattere in carattere, secondo l’esigenza.
È l’attore a fare il teatro.
All’opera troviamo una macchina ottimamente in assetto, commedia divertente, polifonica, che conquista subito la platea per la sinuosa verve interpretativa: Sorrenti esce alla distanza, ma è talmente bravo che ci si interroga a lungo se sia maschio o femmina; Petruzzelli debordante, frivolissima, irresistibile [si veda la foto a lato, N.d.R.]; ognuno, invero, vive il proprio momento di gloria. Tutto potrebbe pure migliorare: il piano luci da sviluppare maggiormente (“ritagliando” gli inserti, la potenza aumenterebbe non poco); benché non si tratti (meno male) d’un musical, le parti di canto potrebbero essere microfonate, risultando coerenti dal punto di vista sonoro; Mirko Fabbreschi, il cui vivace commento musicale segue tutta la storia, deve stare in scena; e certi lazzi potrebbero pure acquisire maggior calibro e scioltezza. Cose minime, rispetto alla giustezza dell’idea. Tanto che, la Cinzia teatrale, fedelissima al fumetto, supera quest’ultimo di numerose spanne, per efficacia, forza, vita: nel libro, la morale suona un po’ telefonata, qui no, ché il cuore del lavoro è altrove, nella performance stessa.
Per una volta, il teatro fatto bene, con cura, ingegno e sapienza, ha la meglio.
Applausi e ancora applausi.