Complici il passaggio all’ora legale e la domenica delle palme, il Teatro San Girolamo è quasi deserto per Nessun dorma, lo spettacolo di Teatrolinguaggi, che apre la giornata conclusiva del Lucca Teatro Festival. Dopo aver debuttato la sera prima con La gazza ladra in anteprima nazionale, la compagnia propone un’altra messinscena a sfondo operistico: dal pesarese Gioachino Rossini a Giacomo Puccini, che, lucchese di nascita, “gioca in casa”.
Inizia la musica (Turandot, neanche a dirlo) ed entra in scena Sandro Fabiani che apre un gazebo e lo circonda per tre lati di un velo su cui saranno proiettate ombre e ideogrammi particolarmente in linea conll’ambientazione cinese. Fabiani, pur cambiando diversi ruoli, veste quasi sempre i panni del boia Pu-Tin-Pao, comparsa nell’opera pucciniana, qui mansueto, sensibile e vegetariano. Pur variando, a volte, l’ordine degli avvenimenti (e, di conseguenza, dei brani musicali), il boia resta fedele al libretto di Adami e Simoni. Impresa difficile, a dire il vero, considerando che in scena ci sono solo due attori: nella scena degli indovinelli, la principessa è solo un’ombra proiettata e Massimo Pagnoni, in un luccicante abito dorato, dà corpo a un imperatore Altoum forse troppo isterico.
Il boia interagisce spesso col pubblico mentre racconta e si confessa; agli indovinelli che sottopone, non sempre di immediata soluzione, i bambini più svegli forniscono prontamente la risposta giusta. Addirittura, nella seconda metà dello spettacolo, una bambina del pubblico viene fatta salire sul palco con il pretesto di portare le pergamene degli indovinelli, ma sparisce per riapparire, a sorpresa, solo nel finale: è lei, infatti, a rivelarsi principessa per allontanarsi verso il fondo, mano nella mano con il boia che, finalmente, non dovrà più cimentarsi nella sua funebre arte. L’operazione è condotta con ironia (memorabile il carnefice che si lamenta perché, se non c’è una testa da tagliare, c’è sempre «qualcuno che canta»).
Il lavoro è ben fatto, ma – dispiace dirlo – pare quasi inutile: se esiste un’opera già di per sé adatta per i bambini è Turandot, con la sua ambientazione dichiarata «al tempo delle favole». Una riduzione in un’ora, pur mantenendo le musiche originali (ci pare di riconoscere l’incisione del 1972 diretta da Zubin Mehta con la celebre interpretazione di Pavarotti), perde tanto di quella magia che caratterizza il melodramma originale, senza offrire niente che valga il prezzo di questa perdita. I bambini in sala sono, però, abbastanza contenti e speriamo che lo spettacolo abbia stimolato la loro curiosità, più che soddisfarla con un riassunto, pur vivace e godibile.