«Hai letto la mia lettera?». È con queste parole che l’abile drammaturgia di Roberto Aldorasi e Manuela Correros (il testo è di Francesco Niccolini) permette al pubblico un ingresso “in punta di piedi” all’interno della vita di due donne (interpretate da Claire-Lise Daucher e Anne Palomeres), sorelle che per indole, necessità e “amore”, hanno scelto percorsi di vita diversi fra loro. L’una sceglie di entrare in convento, l’altra gira il mondo con gli occhi di una bambina assetata di bei paesaggi. Due giovani sorelle che si scrivono, confessando paure e intraprendenza.
I differenti caratteri delle donne sono resi evidenti, oltre che dalle parole e dal contenuto delle lettere, anche dalla ricercatezza della regia, che ha pensato di animare i due personaggi attraverso movimenti tra di loro armoniosi che, nonostante le incomprensioni della vita passata, finiscono quasi per somigliarsi, corrispondere, come se si volesse permettere loro un (seppur breve) incontro, l’attraversamento di un “palcoscenico” che abbia spazio per entrambe.
La scenografia è assente, sul palco solo tre sedie: la loro disposizione nello spazio denota la presenza “aerea” di un terzo personaggio. Due delle tre sedie, infatti, sono disposte l’una accanto all’altra. La terza è lontana. Segno della presente-assenza di una terza sorella, morta precocemente. Per contrasto con ciò che le circonda in scena, anche gli abiti delle donne accentuano i rispettivi caratteri: finiscono, quindi, per non confondersi con l’ambiente circostante, mantenendo una limpidezza e una leggerezza che è possibile quasi sfiorare.
Il tempo è scandito quasi esclusivamente dalla liturgia delle ore, da brevi cenni riguardanti la stagione o i colori del cielo, che caratterizzano i momenti della giornata. Nonostante la materialità e la caducità del tempo presente, intriso tuttavia di emozioni e ricco di avvenimenti fondamentali per le sorelle (l’una aspetta un figlio, l’altra si accinge a terminare il noviziato), è interessante notare come quest’ultimo non condizioni il malinconico e nostalgico ricordo di un passato lontano, che si mantiene vivo nel costante utilizzo della forma epistolare.
Giorgia Giulio