Luci di sala accese, dagli impianti posti in proscenio si sente una nenia, voci indistinguibili, il pubblico resta impassibile e prosegue nelle sue chiacchiere con disinvoltura. Notturno di donna con ospiti è già iniziato da qualche minuto, ma ci si appresta a tacere solo con il calare del buio. Il sipario si apre su un interno di una cucina, dove, sdraiata su delle scale e intenta a fumare, giace la protagonista della pièce, Adriana Imparato, interpretata dalla brava Giuliana De Sio. Lo spettacolo diretto da Enrico Maria Lamanna, la cui firma drammaturgica deve la penna di Annibale Ruccello, vanta più di ottocento repliche e deve proprio alla De Sio la proclamazione a un must del genere.
Adriana è una casalinga che, ingabbiata nelle mura domestiche, cerca sfogo in un vecchio televisore malfunzionante: tra una sigaretta e l’altra, sogna di visitare, un giorno, i centri commerciali Harrison, tanto osannati dalla pubblicità. Una vita dedita alla casa, ai tre figli (col quarto in arrivo) e al marito, che la vuole ubbidiente e servizievole per ogni proprio vizio o capriccio. Una sera come tante, la donna si addormenta davanti allo schermo: da lì prende avvio un viaggio nei ricordi, miscelati a desideri inconsci. Sogna ed è come se evadesse dalla casa che la imprigiona, dalle insoddisfazioni della vita: incontra Rossana (Rosaria De Cicco), vecchia amica di liceo divenuta quello che lei avrebbe sognato, con un lavoro ben retribuito e una solida posizione sociale. Il marito di quest’ultima (Andrea De Venuti), è uomo desiderabile, gentile, premuroso, l’opposto di Michele (Francesco Di Leva), suo marito che, anche nel sogno, resta comunque violento e per niente rispettoso. Fa capolino l’amore dell’adolescenza: quel Sandro (Luigi Iacuzio) che l’aveva messa incinta all’insaputa dell’attuale coniuge e che veste ancora, letteralmente, i panni di una volta (pantaloni a zampa di elefante). Oltre a questi personaggi, si affacciano dall’armadio o da un frigorifero, i ricordi del padre e della madre, interpretati dall’istrionico Gino Curcione.
La recitazione, caratterizzata dal dialetto partenopeo, è scorrevole, naturale, fruibile anche dalla platea toscana, anche se, talvolta, l’interpretazione di De Venuti sembra essere troppo calcante rispetto al resto del gruppo. La drammaturgia alterna, come sempre, momenti di esilarante ilarità ad altri di intensa drammaticità; con il passare del tempo, forse, si richiederebbe una revisione del pezzo, a tratti troppo ridondante su alcune tematiche e forse necessitante di opportuni tagli. La colonna sonora rispecchia il periodo in cui è ambientata la pièce: si parte da Chris De Burgh con The Lady in Red per passare a Datemi un martello di Rita Pavone, sino a Moonlight Shadow di Mike Oldfield e al leitmotiv dello spettacolo, Montagne verdi di Marcella Bella.
La scenografia composta da una cucina dai colori tenui, un verde pisello e un crema, sembra rispecchiare la natura di Adriana, donna semplice e di umili origini, ma, nella tonalità del rosso delle scale, preannuncia il percorso delittuoso di una moderna Medea. Di fatti, piano piano che la storia si fa più avvincente e surreale, si dipanano situazioni molto particolari: il sogno si tramuta in incubo, per concludersi con l’intensa immagine (diremmo kubrickiana) dell’attrice che, in abito da sposa, appare ricoperta di sangue, coltello in mano, su un triciclo.