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Pastorale americana in forma di tragedia

Sguardazzo/recensione di "Democracy in America"

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Cosa: Democracy in America
Chi: Romeo Castellucci, Giulia Perelli, Olivia Corsini
Dove: Prato, Teatro Metastasio
Quando: 27/04/2017
Per quanto: 100 minuti

Non tutta la musica nasce per il ballo. Questa frase ci attraversa il capo a risalir la china del rosato confetto che è la sala del Metastasio, esaurita la prima nazionale di Democracy in America: ultima firma di Romeo Castellucci, vale a dir Societas, vale a dir la storia recente della ricerca teatrale italiana. Sfiliamo volti noti (?!) tra attori e critici, maschi femmine e teatranti, interrogandoci su una performance ieratica, tortuosa, arcigna, muta come le fioche didascalie che la punteggiano a mo’ d’enigmatici inserti sapienziali, complice la faticata leggibilità.

Lo sguardo è rivolto oltreoceano, anzi no: ché l’America evocata nell’anglofonia del titolo è quella filtrata dall’europeissimo Alexis de Tocqueville, intellettuale parigino, famiglia aristocratica scampata d’un soffio al filo di Madame Guillotine, ravvicinato osservatore del processo insidioso e affascinante che fu la (ri)fondazione democratica americana, negli anni Trenta ottocenteschi. Terra promessa di puritanesimo ingenuo e violento, bigotto e intransigente, il Nuovo Mondo presto s’affrancò dal Vecchio, distanziandosene per la naturale propensione al numero, al racconto, al pratico, elementi che il millenario pensiero europeo aveva da tempo precipitati in una crisi irreversibile.

Si nega alla perspicua narrazione, e non ci sorprende, il tetro dispositivo di Castellucci, benché l’insistito impiego di testi stagliati nell’oscurità rappresenti comunque innegabile elemento comunicante, alternato a puntuali sequenze coreutiche: l’incipit vede uno sciame di figure in bianco, munite di sonagli e bandierine, ciascuna recanti una lettera; compongono il titolo dell’opera, sfarinandolo poi in anagrammi. Ideina. Arretrato, un corpo femminile, nudo (Giulia Perelli) si ricopre di sangue. Vengono meno sguardo e ascolto nel reiterato e verticale scorrer di velami, nell’impianto sonoro che attinge a glossolalie pentacostali, il parlare le lingue dei nuovi cristiani settecenteschi tuttora praticato, a rumori concreti, in una composizione d’agghiacciata solennità, tra orrore e smarrimento.

Irrompe la sequenza drammaturgica: una coppia di pellegrini (Olivia Corsini en travesti, oltre a Perelli) si trova alle prese con la fame e l’idea d’un dio da pregare per la salvezza o bestemmiare per l’assenza. La straziata hybris muliebre sfida l’idea d’un creatore ormai sottrattosi agli umani e, con esso, il tramonto della plausibilità del tragico, in quella che rappresenta, dopo millenni d’invecchiamento politico-culturale, un possibile nuovo inizio, solo in apparenza assimilabile alla fondazione democratica ateniese. Dio non c’è, e, se c’è, si ritira, abbandonando l’uomo alla meschinità del suo destino, nel deserto di un’esistenza inconoscibile, inconcepibile, come i quadri d’estetizzante sfocatura a susseguirsi in scena, tra coreografie mute e addensati grumi testuali.

È la Societas, bellezza: prendere e lasciare. Non c’è spiega: se il teatro è vedere le cose che sono nascoste, Castellucci non cede certo alla tentazione di svelarle o renderle fruibili, anzi. E i molteplici schermi calati in proscenio o sul fondale ci paiono alludere alla liquida opacizzazione del nostro stesso atto di guardare, senza centro né oriente, senza fiato o speranza. Si resta interdetti, irretiti dall’orditura scenica che, del resto, palesa un respingente compiacimento, da salmo segreto recitato per un’accolita d’iniziati. Manca del tutto un qualsiasi umorismo: non tanto la spezzatura ironica a mandar tutto in vacca (sarebbe fuori poetica e pure improprio), quanto la facoltà d’un discorso nell’immaginare di minar sé stesso, farsi carico pure del proprio fallimento/disfacimento. 
Non tutta la musica nasce per il ballo, senz’altro è così, ma la netta sensazione d’incompiutezza non ci sembra da imputare alla nostra frustrazione di danzatori mancati. Buio.

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... un evento sarebbe... una festa privata ed esclusiva

Locandina dello spettacolo



Titolo: Democracy in America

liberamente ispirato all’opera di Alexis de Tocqueville 
regia, scene, luci, costumi di Romeo Castellucci
testi di Claudia Castellucci e Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
con Olivia Corsini, Giulia PerelliGloria Dorliguzzo, Evelin FacchiniStefania Tansini, Sophia Danae Vorvila
e con Irene Bini, Sara Bolici, Mariagiulia Da RivaLaura Ghelli, Virginia Gradi, Giuditta MacalusoSara Manzan, Sara Nesti, Cristina PoliElisa Romagnani, Irene Saccenti, Fabiola Zecovin
coreografie liberamente ispirate alle tradizioni folkloriche di Albania, Grecia, Botswana, Inghilterra, Ungheria, Sardegna
con interventi coreografici di Evelin Facchini, Gloria Dorliguzzo, Stefania Tansini, Sophia Danae Vorvila 
assistente alla regia Maria Vittoria Bellingeri
maître répétiteur Evelin Facchini
sculture di scena, prosthesis e automazioni Istvan Zimmermann e Giovanna Amoroso
realizzazione costumi Grazia Bagnaresi
calzature Collectif d’Anvers 
direzione di scena Pierantonio Bragagnolo
tecnici di palco Andrei Benchea, Giuliana Rienzi
datore luci Giacomo Gorini
tecnico del suono Paolo Cillerai
costumista Elisabetta Rizzo
fotografo di scena Guido Mencari 

produzione esecutiva Socìetas
in coproduzione con deSingel International Artcampus; Wiener Festwochen; Festival Printemps des Comédiens à Montpellier; National Taichung Theatre in Taichung, Taiwan; Holland Festival Amsterdam; Schaubühne-Berlin; MC93 Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis à Bobigny con Festival d’Automne à Paris; Le Manège – Scène nationale de Maubeuge; Teatro Arriaga Antzokia de Bilbao; São Luiz Teatro Municipal, Lisbon; Peak Performances Montclair State University (NJ-USA)
con la partecipazione di Théâtre de Vidy-Lausanne e Athens and Epidaurus Festival

L’attività di Societas è sostenuta da Ministero dei beni e attività culturali, Regione Emilia-Romagna e Comune di Cesena


Quando il giovane aristocratico francese Alexis de Tocqueville rientra da un lungo viaggio di studio negli Stati Uniti d’America nel 1832, compone un saggio in due tomi sul neonato sistema politico americano. In un’opera che diverrà uno dei testi fondamentali per la cultura politica dell’Occidente contemporaneo, Tocqueville descrive il nuovo modello di democrazia rappresentativa rintracciandone l’origine negli usi, nei costumi, nelle idee, nella coscienza collettiva delle colonie della vecchia Europa, ormai affrancate verso un futuro di rifondazione e libertà. La democrazia americana - la prima che per vastità e radicalità veniva edificata in epoca moderna - si era potuta costituire grazie a quel fenomeno che Tocqueville individuava come Puritan Foundation - l’apporto, cioè, delle comunità puritane nel gettare le basi di una fattiva uguaglianza di stampo biblico tra gli esseri umani. Il vero argomento di Tocqueville, però, non era l’America, bensì la democrazia stessa, scandagliata minuziosamente con acribia anatomica, la rinascita in terra vergine di un modello politico logorato dai secoli nella vecchia Europa. De Tocqueville osserva il potenziale di una democrazia giovane, pur rilevandone i pericoli e i limiti, come la tirannia della maggioranza, l’indebolimento della libertà intellettuale di fronte a una retorica populista, e l’ambigua relazione fra l’interesse collettivo e le ambizioni dell’individuo. Nello stesso tempo, il Potere nel Nuovo Mondo rimetteva in questione la propria rappresentazione. Nella Grecia classica, la Tragedia rappresentava il doppio necessario e l’ombra della Democrazia ateniese: con Democracy in America Romeo Castellucci segue l’esempio di De Tocqueville e si pone nel tempo che precede la Politica, e, recisa in profondità la radice greca, in ciò che viene prima della Nascita del Teatro, in quell’attimo d’indeterminazione in cui i piedi nudi calpestano ancora le ceneri tiepide della Festa ormai abbandonata dagli Dei, ma non vedono ancora l’inizio della Tragedia, creata dall’Uomo. Un’opera che rintraccia una celebrazione dimenticata, un rito ancora senza nome, in cui il Teatro rinnovi la sua funzione primaria: l’essere il necessario e oscuro doppio dell’agone politico e delle forme delle società della razza umana.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.