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Dighero e un “Mistero buffo” tutto suo

Sguardazzo/recensione di "Mistero buffo"

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Cosa: Mistero buffo
Chi: Ugo Dighero
Dove: Seravezza (LU), Scuderie Granducali
Quando: 20/01/2017
Per quanto: 90 minuti

Gli ingredienti per fare del buon teatro possono essere veramente pochi: un palco nudo, senza addobbi né fronzoli; una platea, un attore e un po’ di luce. È il caso di Mistero buffo, in scena a Seravezza di fronte a una autentico “tutto esaurito”. Sipario aperto, con le classiche assi in legno incorniciate da quinte nere: da destra, avanza Ugo Dighero nella tradizionale mise attoriale, maglia e pantaloni scuri. Se dovessimo criticare l’outfit dovremmo additare le scarpe da ginnastica poco azzeccate, ma sicuramente comode e idonee ai salti e slanci ginnici che l’artista realizzerà.

Cimentarsi con uno dei testi più celebrati del premio Nobel Dario Fo non è cosa semplice, il paragone con il teatrante (vittima anche lui dell’infausto 2016) è immediato, si cercano assonanze e differenze, ma è proprio su questo aspetto che è lodevole la performance di Dighero. Non scimmiotta mai, infatti, il modello, non cerca similitudini, bensì dimostra d’avere una visione propria dei pezzi che compongono il lavoro, per una reinterpretazione che rende, bene ma a proprio modo, i concetti e i messaggi espressi nella drammaturgia.
Il Mistero buffo di Dighero si appoggia su due scritti: Il primo miracolo di Gesù bambino (tratto da Storia della Tigre e altre storie) e La parpaja tòpola (che fa parte del Il fabulazzo osceno). Come era solito fare l’attore autore sangianese, il nuovo interprete presenta al pubblico cosa si adopererà a trattare, precisando l’uso della lingua lombarda a tratti mescolata con il grammelot, realizzando delle piccole sinossi (non dissimili da certi utili bignamini) dei due racconti, lasciandone ovviamente sospeso il finale. Si principia, quindi, da un estratto di un vangelo apocrifo dove si narra le vicissitudini, trascurate nei vangeli canonici, relative a un episodio dell’infanzia del bambin Gesù. Il fanciullo, essendo straniero (“tema attuale e caro a Salvini” puntualizza Dighero), aveva difficoltà a integrarsi con i coetanei e, per farsi accettare, li aiuta nella realizzazione di statue in sabbia che, con i divini poteri, riesce a tramutare in essere viventi. Qualcosa, come previsto, non funzionerà. Si passa poi a La parpaja tòpola, che altro non è che l’organo di riproduzione femminile, il quale spaventa (causa dicerie) il giovane e inesperto Giavampietro (che Dighero presenta alla stregua di una sorta di Forrest Gump). Il bonaccione infatti verrà invischiato in una vera e propria caccia alla… topola.

Dighero modula la propria voce su parole onomatopeiche, a volte, toccando note baritonali, altre, cantando e gracchiando, per dilettarsi in rime baciate, sino a giungere a veri e propri motivetti ( i cui echi ci riconducono a Ho visto un re). Non è la prima volta che Dighero, con mimica peculiare  (da un occhio sgranato passa alle lacrime), porta in scena i testi direttamente ripresi dall’Archivio Franca Rame: i primi tentativi risalgono addirittura al 1991.

Dopo i due pezzi, accolti da copiosi applausi, l’istrione rivolge al pubblico un bis particolare: una sua composizione, definendola poesia, dal titolo Ho deciso di esportare una merce nuova. Il riferimento è alla democrazia, il cui export ha esito fallimentare. Metrica e recitazione ricordano, in forme embrionali, certo futurismo marinettiano, benché le tematiche siano del tutto in antitesi con il riferimento.

Dighero da anni calca le scene, quasi sottovalutato: in questa performance, e ne siamo contenti, ha modo di mostrare appieno tutta la propria bravura d’attore.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un colore sarebbe... il nero (attoriale)

Locandina dello spettacolo



Titolo: Mistero buffo

di Dario Fo con Ugo Dighero Ugo Dighero propone in teatro due grandi monologhi di Dario Fo rivisti nella sua chiave personale: Il primo miracolo di Gesù bambino e La parpàja topola. Si tratta di due tra i brani più famosi del repertorio di Fo che uniscono un grande divertimento ad un forte contenuto, il tutto condito con la leggerezza e la poesia tipici dei racconti dell’autore italiano più rappresentato nel mondo. Il ritmo incalzante e l’interpretazione simultanea di tutti i personaggi delle due storie, consentono a Dighero di mettere in campo tutte le sue capacità attoriali dando vita ad una galoppata teatrale che lascia senza fiato.

Francesca Cecconi
Da attrice a fotografa di scena per approdare alla mise en espace delle proprie critiche. Under35 precaria con una passione per la regia teatrale. Ha allestito una sua versione di Casa di bambola di Ibsen. Se fosse un’attrice: Tosca D’Aquino per somiglianza, Rossella Falk per l’eleganza, la Littizzetto per "tutto" il resto.