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Don Chisciotte: un uomo con la paura di morire

Sguardazzo/recensione di "Don Chisciotte"

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Cosa: Don Chisciotte
Chi: Alessio Boni, Serra Yilmaz
Dove: Verona, Teatro Nuovo
Quando: 13/02/2019
Per quanto: 120 minuti

In Italia, si tende ad arrivare sempre un pelino in ritardo su anniversari e ricorrenze. È per questo motivo che nel 2019 vediamo il pullulare di rappresentazioni legate al Don Chisciotte, nonostante il 400° anniversario della morte dell’autore si sia festeggiato tre anni fa in terra spagnola. Si parte dalla riscrittura dalle tinte comiche Don Chisci@tte di Arca Azzurra con Alessandro Benvenuti e Stefano Fresi, alla versione carrettiana di Ultimo Chisciotte di Maria Grazia Cipriani, fino ad arrivare a Don Chisciotte nell’adattamento di Francesco Niccolini. Ed è proprio a quest’ultimo allestimento che abbiamo assistito, nella bella cornice del Teatro Nuovo di Verona, e di cui vi parliamo piacevolmente colpiti.

Don Chisciotte è ambientato in una scenografia che si scompone e ricompone plurime volte, aiutata da fondali in tessuto, che scendono e risalgono per celare e rivelare nuovi spazi: una struttura scenica che si fonda sull’immaginazione dello spettatore (potere indiscusso della scatola magica) che si sposa alla perfezione con la fantasia del cavaliere errante. Un plauso va alla meravigliosa figura di Ronzinante, cavallo meccanico mosso dal notevole Nicolò Diana posizionato al suo interno, che ne gestisce gli spostamenti (grazie all’ausilio di ruote posizionate al termine delle zampe) e i movimenti del muso, andando a sottolineare le sfumature espressive dell’animale, oltre a cenni con orecchie e coda, senza tralasciare la simulazione del respiro e del nitrito.  Di altra fattezza, invece, l’asinello o ciuchino,  indossato da Serra Yilmaz nel comico ruolo di Sancho Panza, la quale inserendo gambe e corpo all’interno di una specie di ciambella dall’aspetto del quadrupede, si sposta ciondolando da un lato all’altro del palcoscenico. Alcuni elementi tratti dal teatro di figura si rivedono nella scena in cui Don Chisciotte viene calato nel pozzo dove, attraverso forme in cartoon di donne e sagome strane, mosse da attori nerovestiti, si entra in uno spazio onirico e fatato; o ancora nella battaglia con il cavaliere oscuro (che ricorda alcune statue dal soggetto equino di Igor Mitoraj), dove questi è suddiviso in varie parti, agite da performer ancora in nero, che si separano e si uniscono ogni qualvolta ricevono un fendente, in una vera e propria danza bellica.

Il romanzo di Cervantes viene ripreso e alleggerito in ogni sua parte, dando ai quattro personaggi – che fanno da sfondo – ruoli diversi ma sempre con un compito specifico, come per esempio quando, in proscenio, si trovano a descrivere le peripezie del hidalgo con il suo fiero scudiero, quasi ad adempiere alla funzione della rhesis del teatro greco.

Battute giocate sul riso, grazie allo stretto rapporto tra Boni e Yilmaz, accresciuto da una mimica fortemente espressiva di lei, in contrasto con la corpulenta voce impostata di lui; o ancora la serietà nella visione fantastica del Don in antitesi con la cruda realtà dello scudiero. Un’enorme pala di un mulino a vento fuoriesce da una quinta facendo urlare il nostro cavaliere contro ipotetici giganti da sconfiggere, riconsegnando allo spettatore una nuova immagine, fortemente espressiva, della celebre scena letteraria. La poesia di Cervantes non manca, come del resto il gioco immaginifico che attraverso le parole di Don Chisciotte diventa reale, facendolo da un lato passar per pazzo, mentre dall’altro rendendolo autentico nella sua follia. Don Chisciotte è un uomo con la paura di morire e che prima di concedersi a un sonno eterno, vive i suoi ultimi istanti nel miglior modo possibile: come un vero eroe cavalleresco.

Un finale aperto ci permette di porre lo sguardo non più su un cavaliere errante, ma su un uomo, che può essere ora un combattente in guerra, ora uno studioso costretto ad abiurare le proprie scoperte.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una figura femminile sarebbe... una damigella ben vestita

Locandina dello spettacolo



Titolo: Don Chisciotte

con Alessio Boni e Serra Yilmaz
adattamento Francesco Niccolini
liberamente ispirato al romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra
drammaturgia Alessio Boni, Roberto Aldorasi, Marcello Prayer e Francesco Niccolini
con Marcello Prayer
regia Alessio Boni, Roberto Aldorasi e Marcello Prayer
produzione Nuovo Teatro, Fondazione Teatro della Toscana

Chi è pazzo? Chi è normale? Forse chi vive nella sua lucida follia riesce ancora a compiere atti eroici. Di più: forse ci vuole una qualche forma di follia, ancor più che il coraggio, per compiere atti eroici. La lucida follia è quella che ti permette di sospendere, per un eterno istante, il senso del limite: quel «so che dobbiamo morire» che spoglia di senso il quotidiano umano, ma che solo ci rende umani. L’animale non sa che dovrà morire: in ogni istante è o vita o morte. L’uomo lo sa ed è, in ogni istante, vita e morte insieme. Emblematico in questo è Amleto, coevo di Don Chisciotte, che si chiede: chi vorrebbe faticare, soffrire, lavorare indegnamente, assistere all’insolenza dei potenti, alle premiazioni degli indegni sui meritevoli, se tanto la fine è morire? Don Chisciotte va oltre: trascende questa consapevolezza e combatte per un ideale etico, eroico. Un ideale che arricchisce di valore ogni gesto quotidiano. E che, involontariamente, l’ha reso immortale. È forse folle tutto ciò? È meglio vivere a testa bassa, inseriti in un contesto che ci precede e ci forma, in una rete di regole pre-determinate che, a loro volta, ci determinano? Gli uomini che, nel corso dei secoli, hanno osato svincolarsi da questa rete – avvalendosi del sogno, della fantasia, dell’immaginazione – sono stati spesso considerati ‘pazzi’. Salvo poi venir riabilitati dalla Storia stessa. Dopotutto, sono proprio coloro che sono folli abbastanza da credere nella loro visione del mondo, da andare controcorrente, da ribaltare il tavolo, che meritano di essere ricordati in eterno: tra gli altri, Galileo, Leonardo, Mozart, Che Guevara, Mandela, Madre Teresa, Steve Jobs e, perché no, Don Chisciotte.

Alessio Boni

Francesca Cecconi
Da attrice a fotografa di scena per approdare alla mise en espace delle proprie critiche. Under35 precaria con una passione per la regia teatrale. Ha allestito una sua versione di Casa di bambola di Ibsen. Se fosse un’attrice: Tosca D’Aquino per somiglianza, Rossella Falk per l’eleganza, la Littizzetto per "tutto" il resto.