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“Dopo il silenzio”: la liturgia dell’antimafia

Sguardazzo/recensione di "Dopo il silenzio"

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Cosa: Dopo il silenzio
Chi: Alessio Pizzech
Sebastiano Lo Monaco, Mariangela D'Abbraccio, Turi Moricca
Dove: Pisa, Teatro Verdi
Quando: 14/02/2015
Per quanto: 85 minuti

Cos’è la mafia? Perché esiste? Come si può combattere? Queste sono le domande a cui tutti, nel cercare un senso a questo fenomeno, ci poniamo senza mai dare risposte definitive, ma, si sa, il quesito è sempre più interessante della sua soluzione.
Proprio di mafia si parla in Dopo il silenzio, lo spettacolo tratto da Liberi tutti di Pietro Grasso, andato in scena al Teatro Verdi di Pisa. Si apre con il rito di iniziazione di Cosa Nostra, ma dopo questa breve parentesi si giunge alla situazione che durerà per il resto della messinscena: un muro, lungo e basso, come unico segno distintivo di un luogo a metà tra un limbo e una sala d’aspetto. In scena tre personaggi: Sebastiano Lo Monaco è l’alter-ego del magistrato antimafia autore del testo; Mariangela D’Abbraccio è la moglie, insegnante impegnata anche nelle ore pomeridiane a tenere i ragazzi lontani dalle strade; e un giovane picciotto, interpretato da Turi Moricca. I due coniugi cercano di redimere il ragazzo, salvandolo da una morte certa per mano della stessa mafia che, adesso, gli assicura gloria e denaro.
Accompagnati dagli interventi video del nostro Giacomo Verde, vengono raccontati personaggi, vicende – storiche o aneddotiche – e valori dell’antimafia: dagli attentati, ai pranzi tra amici con Falcone e Borsellino; dalla storia di Rita Atria, alle spiegazioni delle radici massoniche di Cosa Nostra (e i suoi legami con la Chiesa). Si alternano, quindi, i dialoghi (talvolta veri e propri scontri), con momenti più solenni, di solito monologhi, in cui si evoca il passato.
Ci sembra di notare nella narrazione alcuni difetti di impostazione che, in uno spettacolo del genere, si estendono alla messinscena, ma anche all’intera operazione, teatrale e non solo. Dell’antimafia è offerta una visione celebrativa, quasi religiosa: durante i quasi novanta minuti dello spettacolo vengono ricordate figure più o meno note nella lotta contro la mafia. Una lunga teoria di santi (più o meno) laici, costruisce un’epica moderna di modelli a cui ispirarsi. A dare un carattere ancor più ecumenico, la voce di Karol Woytila, nel celebre anatema scagliato contro i mafiosi nel 1993. Non vogliamo certo mettere in dubbio il valore − civile e morale − di tutte queste persone: ci limitiamo a notare che un’operazione del genere può essere fatta (e in effetti viene fatta) anche dai mafiosi, che santificano i loro martiri e i loro boss.
Inoltre, la legalità, l’impegno civile nelle scuole e quello professionale nei tribunali costruiscono un piedistallo su cui la coppia si erge di fronte al suo interlocutore. Questo ragazzo, nelle mani della mafia, non ha spessore: è ignorante, stupido, povero. Queste sembrano essere le sue uniche caratteristiche e, di riflesso, le ragioni per cui è attratto da Cosa Nostra. Esiste drammaturgicamente solo per permettere ai due coniugi di sciorinare il loro impegno e per santificarsi nel cercare di convertire il picciotto. Anche la sua morte finale, decisa dall’autore signore delle sorti del personaggio, sembra servire solo a dar ragione alla coppia.
Non troviamo, in questo spettacolo, nessuna traccia delle domande − forse un po’ ingenue, ma necessarie − con cui abbiamo aperto questa recensione. Lo spettacolo sembra troppo impegnato nell’indulgere a esporre modelli che la sala già condivide, per affrontare davvero il tema della lotta alla mafia.
La serata termina con applausi scroscianti e commossi del semivuoto (stentiamo a crederci anche noi che eravamo presenti) teatro pisano, felice di una cultura che parla di sé stessa a sé stessa.

Dopo il silenzio, A. Pizzech (Tommaso Le Pera)

 

VERDETTAZZO

Perché: No
Se fosse... un incontro sarebbe... un circle time

Locandina dello spettacolo



Titolo: Dopo il silenzio

Dopo la significativa esperienza di Per non Morire di mafia, tratto dall’omonimo libro, che dopo il fortunato battesimo Spoletino è stato presente sui palcoscenici italiani per due stagioni, vede la vita al Festival di Spoleto 2013 Dopo il Silenzio. Una nuova avventura teatrale, questa, una scrittura autonoma che vede la collaborazione tra una figura come Pietro Grasso ed uno dei più interessanti drammaturghi italiani, Francesco Niccolini. Un testo questo che vede la luce, per giunta, in uno scenario politico e sociale, rispetto a due anni fa, sempre più costantemente disorientante in cui con una velocità sorprendente tutto è divorato : dai contenuti culturali, fino alle informazioni di carattere scientifico e tecnologico.

A fronte di tanta velocità massmediatica, di tanto urlo, di tanto disagio emotivo e materiale che travolge i cittadini di questo nostro amato e ferito paese, il teatro può essere sempre di più portatore di storie, creando le condizioni per conoscere e quindi per poter decidere sul proprio destino sociale e privato.

Per questo mi è sembrato importante accogliere l’invito di Sebastiano Lo Monaco e di Margherita Rubino, inesauribile fonte di energia e architetto del progetto, a proseguire in un cammino teatrale che ci veda artisticamente assieme nel portare avanti un organico ragionamento intorno alle parole ed al pensiero di Pietro Grasso. In questo caso il palcoscenico è il luogo della Storia, di una storia collettiva che attraversa le piccole vicende personali di ognuno di noi e che quindi può in sé contenere le fondamenta di un possibile ri-orientamento nazionale. In questa ottica anche in Dopo il Silenzio la parola teatrale diventa strumento di indagine di una Storia di un paese, l’Italia, che coincide, si scontra talora, diverge e poi trova punti di contatto con la storia della mafia con i suoi addentellati politico/economici, con il suo ribaltamento valoriale che si è unito ad un imbarbarimento dei costumi e della vita pubblica. Questo certo rappresenta il fulcro narrativo di questo nuovo, spettacolo, come lo era anche nel primo ma stavolta travalicando l’esperienza individuale a autobiografica di Grasso, ponendo elementi di un racconto scenico che, non riducendosi ad una dimensione cronachistica o di denuncia, mi pare vada verso le forme dell’antica Tragedia affrontando i grandi temi della coscienza in lotta con la giustizia e con la morte come orizzonte estremo.

La scrittura di Grasso e la drammaturgia di Niccolini ci proiettano in una necessità comunicativa che solleciti, incuriosisca e ponga lo spettatore in un’attenzione profonda verso l’esperienza umana con tutte le sue contraddizioni e con quella necessaria capacità di comprensione e sospensione del giudizio.

Il teatro da sempre fonte di salvezza spirituale e specchio della collettività, ci consente di viaggiare fra le immagini, i ricordi, i frammenti di un intero che si è spezzato tra intimidazioni, bombe, morte portata nelle pubbliche piazze. Le generazioni ed il dialogo tra esse, diventa l’asse attorno a cui ruota la scrittura scenica di Dopo il Silenzio. Il dovere che Pietro Grasso si dà è quello di passare la storia, di farla conoscere ai giovani. L’immagine è quella di un Silenzio che parli, opposto ad un silenzio omertoso che vogliamo cancellare e costruire su quel “Dopo” il nostro futuro.

Un dialogo acceso e vibrante quindi questo spettacolo, che mette di fronte due generazioni, due punti di vista totalmente opposti del leggere la vita.

In un luogo dell’attesa, in un purgatorio dell’anima, in una condizione fuori dal tempo e dallo spazio dove fa breccia la grande storia con i suo eventi, i destini di questo giovane e dell’uomo si incontrano per fare i conti con la propria coscienza. Sul limitare di un tempo che sta scadendo il giovane e l’uomo fanno un viaggio interiore che vuole essere una consapevole ridiscussione dei motivi della propria vita delle scelte più o meno eticamente vissute.

Quei due uomini tanto diversi tra loro, confrontano le loro vite in un faccia a faccia che parte dalla mafia come fenomeno esterno a sé per arrivare ad una definizione di mafia come condizione interiore dell’uomo, come reazione a problematiche sociali, come risposta sbagliata a bisogni inespressi, come prodotto di un Silenzio complice; una mafia che nasce in ognuno quando il dialogo con propri valori non sia aperto e leale.

In quel luogo, come se da sempre fosse lì, un uomo pubblico, che da sempre ha combattuto per le sue idee, per la giustizia, che ha attraversato la storia d’Italia degli ultimi trent’anni e più, con le sue delusioni e sconfitte ma anche speranze e vittorie, attende che quel giovane arrivi. Un uomo che porta con sé la storia, la drammatica storia di questa seconda repubblica, un uomo con le sue scelte sempre coraggiosamente ed onestamente affrontate con altrettanta coerenza affronta il giovane che domanda, pretende e giudica. Un giovane che non conosce quella storia se non attraverso la televisione. Un giovane che ha venduto sé stesso e la propria libertà: Un giovane senza parole per costruire il proprio futuro; di fronte a lui quell’uomo adulto sente il dovere di portare le sue parole, i suo pensieri, le sue esperienze perché tutto questo diventi patrimonio condiviso.

Tra quei due uomini di età ed esperienza diverse, si crea progressivamente una comprensione, un abbraccio ideale, un ricongiungersi etico e morale che possa fondare simbolicamente una Nazione più civile, capace di una rivolta morale e di dire “Noi no!”.

Davanti alla sacralità della morte, al limite che anche l’antica tragedia greca segnava come punto di svolta e trasformazione dell’uomo, la pietas reciproca trova un gesto con cui realizzarsi e quella dimensione etica dell’azione politica diventa comprensione dell’altro, ascolto dell’altro e atto concreto Quel ragazzo e quell’uomo sono due facce di noi : la coscienza del degrado, la percezione della radice profonda di esso di cui la Mafia è solo la punta più immediatamente leggibile e dall’altra parte troviamo l’incoscienza del non sapere, del non voler capire e del non voler leggere la realtà che ci circonda con occhi nuovi. Tra quei due uomini, in quello spazio metafisico della memoria, in quella sorta di archivio della mente, fatto di volti, nomi, luoghi, c’è una donna, un pensiero al femminile che pone la speranza della trasformazione e che impone la conoscenza ed il sapere come strade verso il futuro. Incarna questa figura una vibrante Mariangela D’Abbraccio:

L’emergere di una figura di donna che si pone accanto all’uomo come educatrice, eticamente rivolta verso il giovane, mi pare il dato importante di questo nuovo racconto teatrale. In questo testo si vuole quindi parlare di una Storia collettiva di uomini ma anche di donne che hanno vissuto con naturalezza scelte importanti, che hanno portato lutti profondi ma che con quella capacità di accoglienza che porta con sé il femminile, hanno superato prove importanti e decisive.

Insomma quella donna agisce lo svolgersi del dialogo tra i due e quando interviene è per portare un “vento” che apra le finestre, spalanchi le porte per far emergere una verità, un onestà che c’è in ogni azione che possa salvare un giovane ! Quella donna incarna il futuro, la possibilità di una trasformazione, una nuova alba possibile per la città distrutta e dilaniata.

Quella donna oppone alla cultura del sangue, la cultura dell’amore e come le antiche Troiane difende quei valori familiari depositati nel segreto dell’esperienza matrimoniale.

Quell’uomo e quella donna, con accanto a sé il giovane, con i loro volti sfiorati dal vento, possono così finalmente celebrare coloro che non ci sono più, coloro che hanno dato la vita per difendere e costruire la democrazia e sulla terra così inginocchiarsi e sentire il calore del sole.

Alessio Pizzech

Andrea Balestri
Non è il Pinocchio di Comencini. Apparentemente giovane, studia teatro (non solo) musicale tra Pisa e Roma. Serie tv, pulizie e viaggi in treno occupano il resto della sua vita. Archivia i ricordi in congelatore e si lava i capelli tutti i giorni.